GERTRUDE. Par mad. HORTENSE ALLART DE THÉRASE. III Vol. Florence, Ciardetti, 1827.
A giudicare quest'opera secondo gl'innumerabili pregiudizii della mediocrità, certamente c'è da biasimare non poco: a giudicarla in sè stessa, c'è molto più da ammirare. Chi cerca nella Gertrude un romanzo e non più, nell'autore della Gertrude, non più che una donna, può restare ingannato; chi, senza cercare nulla di ciò che secondo certe regole può parere conveniente e bello, sa trovarvi e sentirvi tutto il Bello che c'è, non può non esserne stupefatto. Il lettore leggero riprenderà la povertà del disegno, l'aridità dello stile, la soverchia uniformità del tuono, la soverchia lentezza: il lettore che pensa, saprà conoscere in quella povertà di disegno, una straordinaria ricchezza di sentimento: in quell'aridità di stile un affetto profondo, e proprio solo delle anime forti; in quella monotonia, in quella lentezza una varietà di tinte, un progresso d' azione, verissimo e secondo le meditazioni della filosofia e secondo la terribile esperienza del cuore. Ma queste son cose inaccessibili a' lettori volgari: ed è certissimo che un'anima volgare, dalla lettura di questo libro non saprà cogliere altro che noia.
Edvige, Leonora, sorelle; Gertrude, cugina loro, son mogli; la prima ad un giovane amato, il qual, proscritto dalla Francia, la conduce in Grecia a morire di spasimo pe' continui pericoli a cui la guerra della greca indipendenza lo espone; la seconda ad un uomo avanzato d'età, pregevolissimo per amabilità e per carattere, che l'ama quasi da padre, e n'è riamato, ma accortosi poi dell'amore vivissimo dalla moglie sempre virtuosa contratto con un giovine protestante, risolve, protestante anch'egli, di far divorzio e di cedergliela; la terza infine ad un uomo di tutta amabilità, ma leggero, che ben presto la abbandona alla compagnia ed all'affetto d'un americano, singolare per forza d'animo e di mente, il qual, dopo lunghi combattimenti prima col proprio dovere e poi col proprio orgoglio, mortole il marito, la sposa. Ecco tutto: qui non viluppo d'accidenti, non lotta di passioni straordinarie per inverisimiglianza: ma avvenimenti ed affetti comunissimi, resi singolari dalla singolarità del carattere di chi ci passa, e li sente. Non dalla fantasia, nè dal cuore, quale i romanzieri vogliono il cuore, ma dall'intelletto e dall'animo trae l'A. la materia e la forza del suo racconto: ad ogni pagina qui si manifesta la presenza, quasi solenne, d'uno spirito elevato e potente. Il fine, ch'io non so se l'A. si sia chiaramente proposto, ma che certo dall'intero dell'opera risulta chiarissimo, il fine della narrazione è il mostrare gli effetti dell'amore, e di tutte le circostanze che ne indicano la mancanza e il bisogno, che ne segnano l'apparizione, che ne fomentano o ne reprimono l'energia, in un'anima dotata di grandissima forza; forza inoperosa, ma vivissimamente sentita. Questa serie di parole, a chi ben considera, vuol significare un amore in cui l'affetto è esaltato dal pensiero, e il pensiero da un fortissimo, sebbene in parte legittimo orgoglio. Tali sono i caratteri di Gertrude e di Rodrigo; che debbono amendue risentirsi di questa triplice forza; d'orgoglio, di pensiero, e d'affetto: e svolgersi quindi in azioni e in passioni elevate, se si riguardino dall'un canto; ma se dall'altro, alquanto boriose, e per soverchia ostentazione di forza, ora deboli, ora ridicole. Ma la ridicolaggine e la debolezza, non son certamente da imputarsi all'A.; la qual si sarà forse tanto vivamente immedesimata ai caratteri che dipingeva da non vedere l'effetto che la pittura produrrebbe in altrui; ma che, se avesse voluto adulare gl'idoli suoi coll'abbellire gli effetti di quella triplice forza di cui parliamo, avrebbe fatto opera debolissima, e al tutto mediocre. Il Bello appunto qui sta nel contrasto di tanta energia con tanta irresoluzione; di tanto sentimento con tanta smania di mostrarcisi superiore; di tanto desiderio di felicità e di sapere, con tanta angoscia di spirito, con tanta perturbazione e quasi ansia d'intelletto. Tale è l'ingegno e l'animo umano abbandonato a sè stesso: così ci governa l'orgoglio! L'A. ci ha dato (e chi sa che senza volerlo?) una lezione sublime e terribile!
Ma se l'orgoglio indebolisce, non toglie però la forza dell'animo e la grandezza. Non errò dunque l'A. a dimostrarci in Gertrude e in Rodrigo, due anime belle di loro energia. E l'energia e la bellezza, mad. Allart la deduce, chi nol sentirebbe?, dal fondo dell'anima propria. Sola la coscienza può parlare tant'alto!
II. Una seconda lezione, e non meno importante, e più accessibile agl'ingegni volgari, che da questo libro può trarsi, è nell'arte con cui la ch. A. viene svolgendo i caratteri delle tre donne di cui narra il destino. Non c'è forse libro, che dimostri con più diretta evidenza, come l'educazione, della donna principalmente, col matrimonio, piuttosto che finire, incominci. Codesto in parte è l'effetto delle nostre imperfettissime istituzioni; che alleviamo la donna a tutt'altro che ad essere moglie e madre; ma gli è pure l'effetto della natura invincibile delle cose: giacchè non havvi dottrina, non abitudine, che possa far indovinare alla donna quel ch'ella sarà, quando il palpito dell'amore verrà a sottentrare improvviso alle vaghe idee dell'infanzia, alla pericolosa vanità d'un'adolescenza che ignora il male, eppur sembra che lo commetta, servendo alle consuetudini di una società depravata. Il primo amore è il primo cambiamento essenziale che segue nel cuor d'una donna; che scuote dal fondo tutto l'edifizio della sua educazione; che, cangiando il punto di veduta, cangia sovente lo spirito intero: ma il primo amore non è già l'unico cambiamento: e le sensazioni che seguono al matrimonio, si può egli sperarle così regolari e uniformi, da non imprimere negli affetti d'un cuore naturalmente sensibile, un movimento più rapido? E la rapidità non è ella una varietà per sè stessa? Non trae forse seco l'istinto della irregolarità e del disordine?
Quest'è che ci mostra l'esempio della dolce Eleonora, della generosa Gertrude: virtuose amendue; amendue tenere del compagno che s'eran già scelto: eppure amendue lo tradiscono col desiderio; per cammino diverso si trovano amendue sulla strada delle donne corrotte. Manca, è vero, nel romanzo la morale alla favola: ma il quadro per sè medesimo, è fortemente morale.
III. Se l'A. si fosse ristretta a dipingerci i progressi d'una passione colpevole, omettendo (come dai romanzieri finora s'è fatto) tutto ciò che appartiene all'intimo stato dell'animo che la soffre, il suo quadro sarebbe certamente riuscito imperfetto, e di disegno e di esecuzione e di verità e di bellezza. Ma qui noi siamo condotti nei penetrali più riposti del pensiero e del sentimento; assistiam testimonii alla guerra della ragione con la sensibilità, dell'orgoglio filosofico con la umiliazione d'una tenerezza smodata; della nerezza, del terrore, della rabbia quasi, che da cotesta guerra si desta: e gli stessi prestigii che oppone la sensibilità alla ragione, gli stessi sofismi dell'affetto che vorrebbe per sè solo creare un'eccezione alle regole generali che governano il mondo degli spiriti; tutto qui diventa morale. Tanta è la forza della verità pienamente mostrata. Il disordine stesso, il vizio, il delitto, è uno spettacolo non più pericoloso, ma santo, se nulla si omette di ciò che lo accompagna e lo segue. E un'anima corrotta che ci desse a conoscere tutta intera la serie de' propri traviamenti, quand'anche s'ingegnasse d'ingentilire tutto ciò ch'è male coi colori del bello, purchè nulla omettesse, ispirerebbe dello stato suo compassione e spavento.
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