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VIII. Questo del disegno: or del tuono. — Quest'è, (lo diciamo con rincrescimento sincero, ma con viva speranza che l'A. non vorrà disdegnare la nostra preghiera), quest'è il principale difetto di un lavoro sì notabile, quest'è che ne oscura o ne appanna sovente le luminose bellezze. Il sentimento dell'A. vien sempre interponendosi ai sentimenti, alle parole, alle azioni de' suoi personaggi: non contento d'esporre, egli giudica tutto, e con tanto calore di passione, e con tanta acrimonia, che il lettore è forzato dalla contemplazione de' fatti narrati passare alla considerazione delle sentenze che il Poeta v'intreccia: cosa incomoda in sè, distruttrice d'ogni grande effetto del vero istorico, e alla retta estimazione dell' Opera nocevolissima. Perché, quelle sentenze, oltre alla giovenile esaltazione del tuono, oltre alla esagerazione d'un affetto sovrabbondante, rinchiudono i germi di teorie che non tutti forse saprebbero troppo leggermente adottare. Veder tutte in colore di rosa le cose di questo mondo, è imbecillità ; ma vederle tutte in nero, non è certamente sapienza. Gli uomini, dice il ch. A., sono iniqui tutti. E io direi che tutto iniquo è nessuno. Il Machiavelli l'ha detto: il Machiavelli, che non riguardava certo l'umana natura dal lato più nobile né dal più bello. Se fosse sempre vero quel detto, che la letteratura è l'espressione della società, qual giudizio dovrebbero gli stranieri da questo libro formar dell'Italia, qual giudizio i nostri nipoti di noi? Nessuno più di me sente nel fondo dell'anima tutta quella parte di vero che l'A. ha trasfuso nelle amare sue querele contro un mondo frivolo, infido, maligno, per interesse, per debolezza, per educazione, per vezzo: ma credere tutti eguali: ma non far distinzione da tempo a tempo, da azione ad azione, da scopo a scopo; ma alla virtù stessa dare il linguaggio della disperazione, dell' orgoglio del furore; ma intorbidare il queto e limpido corso della narrazione con l'empito declamatorio, quasi con acqua di feccioso torrente, quest'è ch'io non so perdonare a un ingegno così forte, a un animo così conscio del Vero e del Grande. Tronchi l'A. dalla sua storia tutte le declamazioni, le troppo smaccate manifestazioni del sentimento suo proprio; e quella storia sarà, non dubito d'affermarlo, una delle più notabili produzioni letterarie del secolo. Ma così com'ell'è, tutta amareggiata di fatalismo, tutta traboccante di giovenili rancori, malgrado la tanta sua bellezza ed originalità, non può vivere (I).
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(I) Godiamo, anche in questo, di rincontrarci nell'opinione di uno scrittore, di cui lo stile, l'ingegno, le intenzioni danno grandemente a sperare all'Italia. Riporteremo le sue stesse parole. Indicatore Genovese, Num. 14, pag. 56.
"O giovine! tu hai possanza d'immaginazione, e di cuore, e di mente. A te la Natura concesse un'anima che trasvola fervida sul creato, e non ha d'uopo per esistere vigorosamente, che di riconcentrarsi in sè stessa; ma tu non obbliare i fratelli; non offuscare queste tue doti colla nube della disperazione, perch'essa fa del creato un deserto. Tu sei nato a sentire e pingere sovranamente l'amore, la natura, la compassione: il tuo genio può farsi eccitatore di generosi pensieri: ma la compassione, la natura e l'amore appaiono sterili e secchi fantasmi all'uomo che ha detto: io dispero. Né tu hai tanto ingoiato del calice della vita, da poter esser convinto che non vi rimane per te una goccia di balsamo: né tutti gli uomini son maligni ed iniqui; bensì molti son traviati; — miseri tutti. Da te l'Italia è in diritto di attender molto. E scrivi: spira vita alla polve: snuda la viltà del delitto; colpisci con quadri di terrore i fiacchi, a' quali il rimprovero è poco. Ma ricordati che il fine d'ogni scrittore è d'illuminar commovendo; e che ogni scossa è soverchia, dove non riveli un profondo vero; inutile ogni quadro, se dal fondo non penetri il raggio della speranza".