La giornata villereccia, commedia in due atti del signor Cesare di Castelbarco. Gl'idilli e le egloghe furono la prima sorgente delle antiche commedie, alle quali somiglia in qualche parte questa del signor Castelbarco, in cui si descrive una festa privata e villereccia per rallegrare il giorno onomastico di un'ottima madre di famiglia. Questo genere di componimenti potrebb'essere utilissimo all'educazione de' giovanetti, facendo loro gustare tutta la dolcezza delle più tenere affezioni, ed avvezzandoli a ben conoscere ed apprezzare la santita delle virtù e dei doveri domestici prima di gettarsi nel mondo. Don Procopio festeggia il giorno onomastico di donna Aspasia sua moglie: a tal uopo ha fatto costruire un teatro in cui i suoi figli, ed altri a lui attenenti rappresentino una tragedia ed una commedia da lui medesimo scritte. La villa è illuminata: v'ha un fuoco d'artifizio: quanto insomma può farsi in tali occasioni da un facoltoso privato. Il romore della festa è venuto sino alla città, dalla quale accorrono molte persone; e tra queste un Macario architetto, un Pippetto pittore, un Canterello poeta ed un Taddeo Frottola gazzettiere. Costoro sono tutti ammessi al teatro, dove tutto riesce malissimo. Ciascuno, secondo la sua professione, dice il peggio che può, e Taddeo scrive sui due piedi un articolo, anzi una diatriba da inserire nella gazzetta del giorno seguente. Ma don Procopio informato di ciò invita don Taddeo, e per lui anche i suoi compagni, ad una lauta cena, largheggia in gentilezza con don Taddeo, e così fugge il flagello della sua censura. Questo è il sunto della commedia; e di qui si può conoscere di leggieri come, degenerando essa in una satira, si allontani in progresso da quella semplicità dell'egloga e dell'idillio alla quale in sul principio si accosta. Chi venga rappresentato sotto i nomi di don Procopio e di donna Aspasia s'intenderebbe assai facilmente quand'anche non lo dicesse l'autore, affermando a' suoi figli d'aver compendiato in questa commediola quanto si fece nel giorno onomastico della loro madre; e così ancora egli ne fa intendere assai bene che allude alle proprie cose quando parla di tragedie e commedie mal riuscite. Fin qui dunque la commedia è storica, o se v'ha qualche esagerazione sul vero, non può incorrere nella censura della vecchia commedia, perchè l'autore espone fatti suoi proprj, e sopra sè solo attira, con nuovo genere d'umiltà, il riso degli ascoltanti. Solo potrebbe dirsi che senza necessità egli avvilisce sè stesso nel cospetto de' proprj figli, e che una poco allegra festa prepara alla moglie esponendosi a tante censure ch'egli medesimo crede quasi di meritare. Ma in mezzo a tanta verita riesce poi malagevole il persuadersi che l'autore non abbia voluto rappresentare personaggi veri anche sotto i nomi di Pippetto, di Canterello e di Taddeo Frottola; e qui comincia la commedia a diventar difettosa non pure dal lato dell'arte, ma anche da quel dello scopo morale a cui debb'essere diretta. Quando il signor Castelbarco fa improvvisare alcuni pessimi versi a Canterello, poeta di teatro, l'allusione può rimanere ancor dubbia, poichè per mala ventura abbiamo forse più d'un poeta a cui basterebbe l'animo di mettere in bocca d'un qualche eroe que' versi:
Sempre vicino al lido
Senza mai gire innanzi….
Navilio, ahi, troppo fido,
Che noja da creppar!
Ma quando si dice a Pippetto, pittor di scene, che il suo nome è celebre in tutta Italia, e si brama sinceramente che i posteri non si scostino più da lui nella sua arte, allora il pensier del lettori corre subito a tale che merita senza dubbio quelle lodi, e solo si sdegna ch'egli sia fatto compagno di un Canterello. Che diremo poi di Taddeo Frottola? Sono forse molti in questa nostra città che abbiano una gazzetta, e che stampino dall'oggi al domani le loro critiche? La satira qui si fa manifesta, e il pensiero dell'autore di guadagnarsi con un pranzo l'animo del gazzettiere e fargli stracciare l'articolo già bello e fatto, oltre all'essere vecchio e triviale, può diventar qui ingiurioso. Da questo lato adunque la commedia del sig. Castelbarco ci sembra riprovevole assai. Egli è padrone di ridere di sè medesimo, di confessare la propria mediocrità (come fa dire al suo confidente Fabrizio) che forse in questo avrà data a' suoi figli una buona lezione di modestia; ma quando volge i suoi sarcasmi a Taddeo (sia costui un individuo, o sia il carattere di tutta una classe di persone) qual lezione vuol egli che si cavi dalla sua commedia? Forse che i giornalisti qualche volta censurano a torto? Questo non si può dire quando trattasi delle sue teatrali produzioni ch'egli medesimo giudica degne dei fischi. Forse che ai facoltosi è lecito scriver male, o comperarsi le lodi dei vili? Questa è una leziono troppo pericolosa, troppo indegna del sig. Castelbarco. Forse che tutti coloro i quali scrivon giornali vendono per un pranzo le loro lodi, o taciono almeno per un pranzo la verità? Questa è un'asserzione ingiuriosa che il sig. Castelbarco può provar falsa ogni qualvolta ne abbia talento. Queste sono le principali osservazioni che ci corsero al pensiero leggendo la Giornata villereccia, e le abbiamo scritte con sincere parole, perchè ci parve che l'autore per troppa voglia di far del satirico siasi nella sua commedia allontanato de quella semplicità nella quale poteva riuscire assai bene.