Lettere di Giulia WILLET. – Roma, 1818, nella stamperia de Romanis, in 12.
Combien de bruit, diceva ridendo una dama francese che leggeva la Nuova Eloisa di Rousseau, combien de bruit pour faire coucher un homme avec une femme! Lo stesso detto si può applicare alla massima parte dei moderni romanzi sentimentali che si stampano in sì gran copia oltramonti. E cosa certamente ridicola di esporre con tanta enfasi la storia di un innamoramento, o con un tuono tanto serio, quasi che fosse un avvenimento peregrino e stupendo, e più ridicola ancora di formarne una lunga serie di volumi, al pari di quelli della Clarissa, che appena altrettanti ne conta la storia greca o romana. Gli antichi avevano essi pure i loro romanzi, ma o volevano dilettare con una vivace immagine della vita pastorale, quale è il romanzo di Dafni e Cloe, o piacevolmente trattenere il lettore con la varietà e la singolarità delle avventure, quale è l'altro di Leucippe e di Clitofonte, e delle cose etiopiche di Eliodoro. Con le curiose avventure e con la moltiplicità degli accidenti si sostengono parimenti i romanzi che in gran numero comparvero in Italia ed altrove ne' secoli trascorsi. I moderni al contrario non sono che una prolissa filastrocca di pettegolezzi domestici che succedono nel medesimo luogo, e sovente entro il ricinto di una sola abitazione. Lo scopo primario è di stillarvi la più squisita quinta essenza del sentimento e della sensibilità.
Questa sorta di romanzi ha tratto origine ne' paesi settentrionali, ove una passione di sua natura ardente ed impetuosa, quale è quella dell'amore, lascia pur luogo a sottilmente ragionare e speculare. Essi sono presso che intieramente stranieri all'Italia, ove più vibrate essendo le sensazioni, saranno, se così Vuolsi, men delicate, ed ove tanta flemma non si può esigere in chi legge, e molto meno in chi scrive. Quindi è che poche composizioni di questo genere può contare la nostra letteratura, deficienza che non crediamo assai rilevante, ed i loro autori stimarono per lo più conveniente onde accreditare quelle leggende, di adattare ai personaggi nomi oltramontani, e di fingere fuori dall'Italia il luogo dell'azione, venendo indirettamente a confessare che i proprj connazionali nè sentono, nè operano, nè parlano in quella guisa.
Così nel romanzo di cui diamo ragguaglio, quantunque scritto in Italia, e da penna italiana, i personaggi sono adombrati sotto il nome di Giulietta Willet, di Luisa du Montié, della Contessa du Marsan, di Merinval, del Cavaliere Belvil, ecc.; e se la scena non è precisamente fuori dall'Italia, si raffigura almeno in un paese prossimo ai confini della Francia, vale a dire a Torino.
Autrice di questo romanzo è la signora Marchesa Orinzia Sacrati, assai nota all'Italia, e meritamente applaudita per altri suoi componimenti. Benchè, a giudizio nostro, il genere romanzesco che chiamano sentimentale sia un genere assolutamente ibrido e manierato come quello che rappresenta la società sotto un aspetto assai diverso dal vero, e dipinge le passioni con colori fittizj, vuolsi nulladimeno convenire che essa ha saputo accortamente scansare quelle caricature che appajono così sovente ne' libri di questa fatta, e che sembra anzi costituirne l'essenza. Potremmo dire che il carattere de' suoi personaggi è delineato al naturale, che gli accidenti sono abbastanza variati senza nuocere all'unità del soggetto, che non si mette in bocca a' protagonisti tanta profusione di morale, che le passioni non sono con tanta enfasi esagerate; ma quello che più particolarmente stimiamo di dover commendare è lo stile. Esso è familiare e disinvolto senza che cada nel pedestre, corretto senza pedanteria, vivace senza affettazione, e ciò che più vale è nutrito di pensieri e di sentimenti, qualità così poco comune nelle scritture italiane di oggidì, ove più si va in busca di parole e di frasi.
Nulladimeno non potrebbe forse mancare la sua critica a questo componimento, e non sappiamo se riuscirà a tutti aggradevole che s'incominci il romanzo con una lunghissima lettera in cui Giulietta rimontando sino al tempo dell'avo e dell'ava, espone certi suoi dritti all'eredità materna, contrastati da certa sua zia; e in tal maniera estende il suo ragguaglio che meglio non saprebbe fare un avvocato di professione. Se i discorsi forensi riescono generalmente poco piacevoli nella società, sembra che anzi meno opportuni essi siano in bocca di una fanciulla che debb'essere l'eroina di un romanzo amoroso.