| Issue | 10A |
| Year | 1823 |
| Page(s) | 29-53 |
1 ORIELE, o lettere di due amanti, pubblicate da DEFENDETE SACCHI; Pavia nella Tipografia di Pietro Brizzoni successore di Bolzani. 1822. un vol. in 8.° di pag. 550.
2 L'Isoletta de' cipressi. Romanzo di DAVIDE BERTOLOTTI. Milano, dalla società de' classici italiani. 1822. un volume in 8.° di pagine 84.
3 Biblioteca amena ed istruttiva per le donne gentili. Milano per Gio. Pirotta. 1821, 1822 in 8.° vol. VIII, delle Confessioni al sepolcro di AUGUSTO LAFONTAINE.
Per una causale combinazione avemmo contemporaneamente sotto gli occhi i due primi romanzi, scritti originalmente in nostra lingua da due culti italiani; i quali si rassomigliano nel soggetto come due goccie d'acqua. Nel primo un giovine sconosciuto s'invaghisce d'una amabile signorina, che gli riesce di ottenere in isposa: ma al momento di stringere le nozze si viene in chiaro essere egli fratello della sua amata. La bella a tale scoperta cade inferma pel dispiacere; il giovane diviene disperato e delirante. E sebbene una seconda scoperta palesi non essere eglino fratello e sorella, la malattia della giovine ha fatto già tali progressi, che la conduce al sepolcro. Il giovine divenuto maniaco si annega in un lago della Lombardia.
Nel secondo, un giovine sconosciuto s' innamora d'una vezzosa signorina, e ottiene l'assenso dai genitori di lei pel suo matrimonio; ma si scopre al tempo stesso che sono fratello e sorella. La giovine divenuta maniaca si annega in un lago della Lombardia; il giovine parte per l'America, e là si ammala di febbre gialla e muore.
È cosa veramente singolare che i due autori si sieno con tanta precisione combinati nel trattare un medesimo soggetto, colle stesse circostanze, con pari scioglimento; facendoci l'uno e l'altro conoscere quanta funesta attrattiva abbiano per le donzelle e pei giovani innamorati le acque de' laghi della Lombardia, divenute il mar di Leucade de nostri tempi.
Differiscono però fra loro questi due romanzi in qualche cosa. Per esempio, il primo è in forma di lettere, il secondo in quella di racconto o novella. L'uno è un grosso volume in 8.° di 550 pagine, l' altro un piccol libretto in 18.° di sole pagine 84. Ambedue i loro autori hanno scritto poeticamente, ma stando sempre sull'orlo del romanticismo: nè oseremmo asserire che camminando entrambi sul precipizio, sieno stati tanto sicuri da non cadervi talvolta; eese pur ciò è avvenuto, il più lungo viaggio ha esposto a più frequenti e a più funeste cadute. Non essendo noi per natura tanto amanti dell'artificioso scrivere, vorremmo aver dettata piuttosto l'Isoletta de' cipressi che le Lettere de' due amanti, nelle quali si manifesta un più studiato artificio. Imperocchè fino a tanto che l'autore assume le parti di raccontatore, pare che se gli voglia di miglior animo concedere gli ornamenti, la frase e la pompa di poetica elocuzione; ma quando le sette o otto persone che hanno parte nell'azione, parlano o scrivono lettere, e narrano fatti domestici, ci sembra meno scusabile lo stile turgido e studiato, l'espressioni lambiccate, i pensieri ingegnosi, le immagini e l'elocuzione sempre poetica, le metafore di nuovo conio; e il tutto modellato nelle stesse forme: cosicchè non basterebbe supporre che tutti costoro fossero stati alunni della stessa scuola, ma bisognerebbe eziandio che avessero avuto, pari in grado ed in intensità, le stesse disposizioni fisiche e morali, gli stessi affetti, le stesse passioni. Questa monotonia, questa rassomiglianza fa si che vedasi continuamente in iscena l'autore delle lettere, e dietro a lui, quasi in ombra ed in isfamatura, quei che figurano averle scritte. Oltre a ciò è generale osservazione che ove a brillare comparisce l'ingegno, spariscono le passioni, gli affetti; e se mal non avvisiamo, pare che ciò avvenga assai più nel primo che nel secondo di questi due romanzi. [...]
Avremmo desiderato che la virtù, che traspira negli autori di questi due romanzi, e gli alti sensi e generosi di che sono ripiene le Lettere de' due amanti, avessero trattenuti i due autori dallo scegliere soggetto che per lo scioglimento avesse avuto bisogno d'un suicidio, sazi omai degli orrori di Giacomo D'Ortis, e del Werter: non trovando noi traccia d'istruzione morale, ma ribrezzo ne delirio e nella disperazione d'un uomo, che per indomabile passione amorosa attenta alla propria esistenza.
Non possiamo però dispensarci dal dare un meritato tributo di lode al tema di alcune lettere. Tali sono nella prima parte la xxx, sull'educazione delle fanciulle; la XXXIX, in cui mostra le conseguenze delle unioni male assortite; la XLIII, ove imprende la difesa delle donne italiane contro le accuse date loro dagli stranieri; la XLVI, nella quale disapprova l'uso di ammettere le fanciulle nelle grandi conversazioni; la LVI, in cui biasima il costume di dare i figli a straniere nutrici; la LX, nella quale si duole perchè molti letterati non uniscono al loro sapere le virtù morali. La LII della seconda parte ragiona sull' educazione delle figlie o delle donne in Italia, e mostra l'importanza di coltivare lo spirito del bel sesso ; la LVI addita il modo d'esser moglie saggia e felice; la LX mostra il modo di usare della beneficenza, ed espone le cagioni che promuovono la mendicità, difendendo gl'italiani dalla taccia d'infingardi apposta loro dagli stranieri. Altre non poche trattano di soggetti di pari importanza e la sana filosofia dell'A. non vacilla se non quando il protagonista è vinto dalla passione, e a lei soccombe.
Possiamo dunque perseverare nel desiderio di un buon romanzo italiano, genere del quale tuttavia manchiamo: e quando l'autore delle Lettere de' due amanti si senta inspirato a far nuovi tentativi di percorrere questa via, umilmente lo preghiamo a ponderare senza passione la ragione, o il torto di queste nostre osservazioni.
Nè in questo luogo sarebbe inopportuno l'investigare le cause della quasi total povertà in cui si trova l'Italia di cotal genere di componimento, doviziosa in ogni altra maniera di letterarie produzioni. E diciamo, quasi totale povertà, avvisando noi non doversi tenere in conto quei romanzi che abbiamo, scritti da qualche ventina d'anni in qua (e tanto meno de più antichi) i quali per la scelta del soggetto, o per l'indole degli attori, o per una men vera pittura delle vicende della vita umana, o per tutte queste cose insieme, non intendono allo scopo cui dovrebbero, di correggere i costumi; di mostrare falli ne' quali può l'uomo essere indotta dalle passioni; d'innamorarlo della virtù; di fargli concepire aborrimento pel vizio. Noi crediamo che faremmo torto agl'ingegni italiani, giudicandogli privi di quella dose d'immaginativa necessaria per ordire siffatti componimenti, e di quel caldo amore per la virtù, ad invogliare della quale devono essi primieramente intendere. Ma convenendo noi dell'inopia degl'italiani in fatto di romanzi, ci asterremo da ogni investigazione sulle cause della medesima, confidando che distesamente le spiegheranno, come promettono, gli editori della Biblioteca amena ed istruttiva che si sta pubblicando in Milano.
E poichè tanto volentieri si leggono in Italia i romanzi, crediamo che gli editori milanesi abbiano con savio accorgimento intrapreso a pubblicarne alcuni dei veramente buoni, e da esser letti collo scopo lodevole d'istruirsi; giacchè per quanto sieno opere di finzione, pure esponendo le virtù, i vizi e le azioni degli uomini in un aspetto vero, ammaestrano assai più d'un trattato morale, che stabilisce massime e principi, i quali in un romanzo vengono posti in azione nelle varie condizioni e casi della vita. Siffatti romanzi, oltre all'infonder nell'animo de' lettori i sensi della più pura moralità, possono eziandio servire di modello a chi volesse dare opera, onde offerirci qualche componimento originale di questo genere, italiano e per tessitura, e per soggetto, e per pensieri.
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