Bibli tragedia di Antonio Gasparinetti. — Mileto tragedia di Stanislao Marchisio.
AFFERMANO quasi unanimemente gli eruditi che l'arte drammatica avesse origine nella Grecia, e precisamente sulle montagne dell'Attica. Narravi di un contadino il quale, avendo colto un'irco che rodeva le sue viti, lo sacrificò a Bacco, e volle che la brigata con canti e balli onorasse l'effigie del nume protettore della vendemmia. Quei ditirambi rinnovati ad ogni anno presero a poco a poco la forma di Dialoghi recitati dai Cori e dai Mimi, e si chiamarono Episodj, distinti coi nomi di tragedia, e di commedia, secondo che trattavano argomenti gravi o scherzevoli, cose cittadinesche o contadine; ed ecco il germe onde sorse la poesia teatrale. Ma gli eruditi non si appigliano al vero, se non è dubbio che l'idea di una rappresentazione drammatica si svegliasse in climi lontani fra popoli che non potevano avere alcuna reciproca relazione, e per semplice suggerimento dell'umana natura che dappertutto è la stessa quantunque dappertutto si palesi con vario aspetto giusta la varietà delle esteriori influenze fisiche e morali. Nella China, chiusa per tanto corso di secoli al resto de' viventi, troviamo commedie e teatri mobili anteriori a quelli di Tespi, e ne troviamo nell'India, nel Giappone, nell'impero Messicano, nel Perù e nelle Isole vicine agli Otaiti. Anche in Europa gli Etruschi ebbero l'arte ludrica, istrioni e tragedia prima di conoscere il magistero dei Greci; e fra gl'istessi Romani furono i diverbj Fescennini, e le satire cantate motu congruenti, come dice Livio, quando non avevano ancora conosciuti gli esempj della rivale Atene.
Sembra veramente, che presso tutte le nazioni, e in tutti i tempi la drammatica fosse coltivata, siccome arte possente non solo a ricreare gli uomini o stanchi dalla fatica o turbati da pensieri affannosi o aggravati dall'insoffribile peso dell'ozio, ma ben anche a custodire la purità dei costumi, a lusingare il nobile orgoglio nazionale colla rappresentazione di eroiche geste, come se vivi fossero e presenti gli antenati benefattori e difensori della patria, ed a produrre in somma nella moltitudine spettatrice impressioni politiche e religiose, dalle quali derivasse il costante, universale ed operoso desiderio del pubblico bene.
Se dai Greci non dobbiamo ripetere l'origine della drammatica è certo però che i loro componimenti in questo genere sono i più antichi a noi pervenuti, e che i Greci ebbero primi il merito di far concorrere gli sforzi di tutte le arti sorelle alla nobilitazione della scena, e di tramandarci il più antico fra i codici di leggi drammatiche. Ma se le produzioni d'Eschilo, di Sofocle e di Euripide sono monumenti di ammirabile genio, e se la poetica d'Aristotile è tutto altro che una cosa spregevole, non ne deriva di conseguenza che si debba servilmente seguire l'arte degli antichi nel moderno teatro, e che si abbiano a riguardare come oracoli tutte le sentenze dell'antico precettista. Come avviene egli mai che mentre i libri del filosofo di Stagira sulla Logica, sulla Metafisica e sulle Scienze Naturali ottengono soltanto quel credito che possono meritare cose dettate nella giovinezza del sapere umano, e vi si approva soltanto ciò che evvi di vero, rifutandosi senza scrupolo e senza cerimonie i molteplici errori onde que' libri ridondano; come avviene, dico, che per lo contrario molti letterati della nostra penisola credano sacrilega qualunque più lieve inosservanza delle sue regole drammatiche? Com'è che, avendo erroneamente supposto alcuni filologi de' secoli scorsi che Aristotile comandi la notissima regola delle due unità di tempo e di luogo, si trovino pur tuttavia uomini ostinati nel difenderla a dispetto della critica, la quale dimostrò che il filosofo greco non pensò mai a prescriverla; e che i Greci non se la sognarono mai, e a dispetto della ragione che la dimostra dannosa e fondata su false idee d'un impossibile illusione teatrale? Perché mai gli esempj dati al mondo da Calderon e Lope de Vega, e più insignemente da Shakespear, da Schiller e da Goethe, non che i voti della semplice ragione naturale non basteranno essi a distruggerla finalmente?
Quantunque rapito dalla maravigliosa arte del poeta, che sa dare tutti i gradi di conveniente appassionata verità ai caratteri, ai colloquj dei personaggi, ed al sempre crescente interesse dell'azione, lo spettatore non dimentica però che la scena è illuminata dall'olio ardente e non dal sole, che i boschi e le città sono di tela dipinta, che i personaggi inglesi o francesi o alemanni parlano in versi italiani, e ciò nulla meno sentesi forzato ai brividi del terrore, ed alle lagrime della compassione. Se dunque a malgrado di quelle, e di altre numerose inevitabili inverisimiglianze non diminuisce punto la magica potenza della illusione sullo spirito dell'uomo, perché crederemo noi che l'incantesimo sia per essere distrutto nella tragedia dalla mutazione della tela, e dal passaggio dall'uno all'altro paese, e dal complesso di avvenimenti riferibili ad uno spazio ideale non delle sole ideali 24 ore, ma di più giorni o mesi secondo che lo richiegga la necessità dell'azione? — E con tanto maggior calore giova raccomandare ai moderni scrittori tragici che si disciolgano una volta da questo pregiudizio in quanto che non vincolato dal goffo precetto il genio indipendente del poeta rendesi padrone di un numero infinito di maggiori mezzi atti a produrre più viva l'impressione, ed apresi la strada alla semplice e naturale rappresentazione di tutte le progressive parti del vero drammatico consistenti nella dipintura di una passione grandeggiante in tutti gli aspetti, in tutti i gradi, e in tutte le sue modificazioni. In questo caso paragoneremo il poeta al fante il quale, usando liberamente di tutte le sue forze, arriva senza dubbio nelle corse alla meta prima di un altro cui siasi aggiunto a' piedi il peso di alquante libbre di piombo.
Una terza unità emerge bensì indispensabile tanto alla drammatica; come a qualsiasi altra opera d'arte, ed è l'unità del fine, a cui, tende la varietà dei mezzi non pochi e non soverchj, di tal guisa che risulti l'armonia del tutto. Da siffatta armonia deriviamo la causa precipua del bello tanto dell'insieme, come delle sue parti le quali, perciò appunto che si trovano ridotte all'unità, sono in tutta la loro estensione di attributi e di rapporti senza fatica comprese dall'intelletto, e producono pienamente l'effetto desiderato. Per questa ragione l'architettura fra i Greci colle decorazioni non profuse, e colla magnifica ampiezza dei compartimenti negli ordini impresse agli edifizj la maestosa avvenenza delle parti concordemente contribuenti ad uno scopo unico; e per lo contrario l'architettura gotica interrotta da molteplici e vani ornamenti non persuade la ragione ed affatica penosamente l'occhio dell'osservatore.
…….delle tre sol'una
Unità, credi, l'unità del cuore.
Tal mi giova nomar quella che niuna
Cosa consente onde sia il cor distratto
Da ciò ch'ella ad un solo esito aduna.
Sono espressioni di Giovanni Torti nel 3.° capitolo del Sermone sulla poesia.
Consentaneo a questa unità del fine sia dunque nella tragedia primieramente l'evitare qualunque complicazione di amore o di intrighi secondarj, peccato osservabile in molti drammi del Metastasio; in 2.° luogo l'uniformarci ad una sola indole di costumi, guardandoci per conseguenza (se si può) dal rappresentare persiane, greche o romane vicende con immagini e colori moderni: e sembra veramente che noi a forza di cercare la novità imitando ci siamo condotti a raffinamenti e delicatezze discordi dall'indole di quelle età rimote. L'Ifigenia in Euripide desiderosa di morire si spaventa nondimeno all'appressare della morte: per lo contrario Racine giudicò questo verissimo sentimento essere debolezza indegna di un'eroina; e la tenera principessa esagerata alla francese muove il passo verso il supplizio colla tranquillità del più fanatico spartano. Il paragone che il sig. Schlegel istituisce tra la Fedra di Euripide e la Fedra del sommo tragico di Francia (stampato in Parigi nel 1807) aggiunge vigore di inespugnabili prove alla nostra opinione. In 3.° luogo finalmente espongasi l'azione tutta quanta in forma drammatica, cioè schivando il bisogno di ricorrere agli insipidi e nojosi racconti delle cose passate, che il poeta non più drammatico ma epico nel sistema così detto aristotelico non può dispensarsi dall'introdurre con istento nei primordiali dialoghi, o ne' soliloquj a fine di supplire alle angustie del tempo assegnato, e di istruire la platea di tutte le antecedenti circostanze di fatto occorrenti all'intelligenza ed all'interesse.
Ci rimane per ultimo da considerare quali argomenti debbano scegliersi di preferenza da chi non voglia lordare le carte di ricantate fole, ma rendersi con l'arte sua efficacemente giovevole. Leggiamo in proposito i versi del nostro buon didascalico
Meglio al nostro sentire, che più lontani
Casi, per simpatia tornano adatti
Quei che tu prenda in secoli cristiani.
E più posson fra questi i patrii fatti
A eguagità di forze in tutto il resto
Che quelli dalle altrui cronache tratti.
Forse armi e odj e sangue e amor funesto,
E di tiranni e di città vicende,
E molto pur di generoso e onesto,
Ne manca, Italia, nelle tue leggende,
Per lo cui lume il guardo entro all'oscuro
Di tue misere età la via si fende?
Oh come il saggio e il mercatante e il duro
Marin, tutti del paro assorti stanno
Là verso i climi del gelato Arturo,
Allor che la Scozzese e Macbet fanno
Agghiacciar di ribrezzo e di spavento,
Sul palco addotti dal maggior Britanno!
Vedi, cedi costei che al dubbio e lento
Marito nella man pose il coltello
Perché l'ospite giaccia a tradimento.
Incontro ad ogni uman senso il rubella
Core indurando a coscienza invitto,
Regina sta nel sanguinoso ostello:
Sol le grandeggia orribile il delitto
Quando nel sonno il fero animo giace,
E riprende natura il suo diritto.
Ecco nell'ora che ogni cosa tace,
E gela il reo se errar vede tra i cardi
Dei deserti sepolcri incerta face
Ecco appar la dormente, e a passi tardi
Con la lampada vien per l'ampie sale
Fissando immoti sulla man gli sguardi.
"Ma qui pur sempre sa di sangue! Ahi quale
“Macchia! Or si lavi... E tanto avea di sangue
“Quel vecchio?... Oh sposo, un vil terror ti assale?
“Tutto è perduto, se il coraggio langue...
“E questa mano non sarà mai pura?...
“Vendetta è, dici, di quel vecchio esangue?...
“Oh vergogna! un guerriero aver paura?...
“Che odor di sangue! E a rifregar la mano,
Quanto le val la lena, intende e dura
Infrà quei detti; e pur riguarda. Ahi vano
Studio! ché mai l'orribil macchia astersa
Non ne andrebbe da quanta all'Oceano
Pei fiumi della terra onda si versa.
La curiosità feconda madre d'ogni umano perfezionamento ci porta naturalmente a desiderare oggetti sempre nuovi o almeno rivestiti di nuovi colori, mentre gli oggetti già troppo conosciuti lasciano inerti le facoltà dell'animo nostro, e ciò è tanto vero che non di rado accade essere fortemente obbligata la nostra attenzione da cose non belle e non interessanti fintantocché conservino sembianza di novità. Ove questa sia verità non contrastabile, noi potremo agevolmente concludere, che la serie innumerevole dei temi moderni non ancora tentati da verun tragico è assolutamente preferibile alla massa dei temi antichi, perciò appunto che non le manca il pregio della novità, ed offre eziandio vicende meno dubbie, e passioni sublimi infinitamente più conformi alla maniera nostra di desiderj e di timori e di speranze.
Intimamente persuasi di queste dottrine noi non sapremmo accogliere con troppo favorevole disposizione le tragedie delle quali ci siamo proposti di far cenno a' nostri lettori. Astenendoci però dall'instituirne minuto esame, basti osservare che dopo la Fedra di Racine, e la Mirra di Alfieri non sembra che altri possa condurre con sufficiente aspetto di novità una tragedia, di cui la catastrofe tutta dipenda dal terribile di una passione incestuosa. Un vivente italiano di chiara fama ebbe già in animo di trattare il tema esposto dal sig. Gasparinetti, ma vide che indarno avrebbe usato ogni possibile sforzo dell'arte per non rinunziare al merito di inventore nel maneggio di una peripezia già arida per se stessa, e già prima maestrevolmente esposta da poeti di gran valore; e se ne astenne. Lasciamo da parte che tragedie fondate sulla mitologia e sull'irresistibile fato de' Greci riescono per noi di pochissimo interesse, siccome quelle che perfettamente si oppongono alla presente nostra fede religiosa proclamatrice del dogma consolatore della provvidenza, che non permette si dubiti mai poter essere i misfatti degli uomini conseguenze inevitabili d'una imperante forza sopranaturale, che non contamina mai l'idea egregia della divinità coll'attribuirle istinto crudele, e che non dichiarasi mai nemica della virtù dell'uomo col violentarlo a colpe, delle quali ella stessa gli ha posto nell'animo profondamente l'orrore. La Bibli ed il Mileto essendo pertanto rappresentazioni di maraviglie a dì nostri ridicole e superstiziose, difetto comune anche alle accennate tragedie la Fedra e la Mirra, mancano di buona sostanza, e mancano innoltre di novità, epperò a fronte degli esteriori ornamenti del dialogo talvolta energico e caldo di nobili e convenienti pensieri, non meritano quella lode che certamente avrebbero conseguito i loro autori se si fossero appigliati a migliori argomenti.
Noi ci stimeremmo fortunati se queste critiche considerazioni varranno a piegare a più giusta meta le forze dell'ingegno di scrittori ai quali offriamo solenne espressione di stima, giudicandoli capaci di contribuire alla maggior gloria delle nostre lettere.
G.B.D.C.