Carlo Barimore, romanzo – terza edizione; un volume in 8.° con una bella stampa; si vende per 6 lire, franco di porto, da Meradan librajo in Parigi, contrada Guénégand n.° 9.
Sembrami che nella contesa dei classici e dei romantici, si abbia negletto di sostenere, fra noi, un'opinione, la quale può conciliare i due partiti. Uno dei corifei del romanticismo, il sig. Schlegel, a cui non potrebbesi, senza un'ingenua parzialità contrastare molta erudizione ed ingegno, fa derivare questo genere (renduto famoso dai Calderon, dai Sackespeare e dagli Schiller) non solo dallo svincolamento delle regole che impone la legislazione del Parnaso, ma in ispecialità dai sentimenti patetici che il cristianesimo sparse fra le nazioni moderne, e che le distinguono sovranamente dalle antiche. Debbesi riconoscere alcune grandi verità in questo sistema, a malgrado dell'esagerazione, e della tumidezza che le deformano. È certo infatti che la contemplazione dell'infinito svelò all'animo affettuoso de' cristiani l'insufficienza e il nulla di tutto ciò che ha limite, e gli additò la vita come un luogo d'esiglio e di miserie. È certo che il cristianesimo sveglia nel fondo del nostro cuore mille idee e mille presagi di quella felicità che debbe verificarsi in un'altro mondo e non mai quaggiù. Simili idee dovettero influire d'assai nei concepimenti del genio, e comunicar loro un'attrattiva particolare. Sotto questo punto di vista possiamo, al pari degli alemanni, degli inglesi, e degli spagnuoli, valutare le bellezze del genere da essi intitolato romantico; ma non è forse da parte loro difetto di gusto il voler ammirare simili bellezze nella letteratura drammatica, allorché per lo contrario questo genere diviene ridicolo (nel mentre che poteva essere sublime) se il si trasporti sulla scena? Infatti il genere romantico non si nutre che d'illusioni; la fantasia sola può comprendere le teoriche che il poeta le presenta; ma sulla scena, ove non ci ha luogo che per cose positive, l'inverisimiglianza è troppo appariscente; e la rappresentazione degli oggetti non permette al pensiero d'ornarli con prestigi, di cui anzi rivestonsi nelle opere ove nulla di materiale e d'evidente viene a distruggere l'incanto della finzione.
Secondo questi raziocinj desunti dalle convenevolezze del gusto, i francesi sbandirono dalla scena le composizioni fantastiche ed irregolari, di cui altri popoli vanno sì alteri; ma nel medesimo tempo diedero prova di sentimento coltivando il genere romantico nelle opere ove può allogarsi. Attala, Renato, Corinna, Matilde e molti altri componimenti interessanti si prestano, senza urtar di soverchio colle regole e col verosimile, allo sviluppo di quei tesori, che sono per altro vantati fuor di misura dai signori Schlegel, Sismondi e de Staël. Queste considerazioni non sono già suggerite dall'opera che annunzio, e che si distingue specialmente coll'armoniosa espressione dei movimenti dell'animo e colla sublime melanconia, che formano l'essenza del genere romantico.
L'autore si propose manifestamente di mettere sotto un nuovo aspetto l'instabilità dell'umana fortuna e la rapidità delle nostre illusioni. Se si risguardi al fondo e all'azione il romanzo di Barimore sembra essere ispirato da una reminiscenza d'Attala, la quale non è parimenti che un'imitazione di Paolo e Virginia. Ma in questa sorta di composizioni l'intreccio è un accessorio, e il suggetto meno originale, può divenirlo in virtù dei pensieri, delle descrizioni e dello stile. Tali vantaggi s'uniscono in Carlo Barimore, e compensano felicemente la nullità dell'azione. L'elegante e puro scrittore di questa specie di romanzo elegiaco conduce i leggitori in una dolce tristezza, e lor fa intendere le minacce dell'avvenire, che preconizza il naufragio della felicità contro gli scogli di cui è sparso il pelago dell'esistenza.
Un inglese stabilito a Calicutte, in mezzo a gente disgustata al par di lui dalle politiche agitazioni dell'Europa, racconta una sera, all'ombra delle palme, la storia di Barimore suo amico, che aveagli affidato il giornale delle sue rimembranze. Tormentato da inesplicabili desiderj, e respirando appena sotto il cielo fosco e nebuloso della sua patria, il giovane Barimore viaggia in Francia, durante la rivoluzione, e, come inglese, censura di volo il carattere d'un popolo volubile e che sa dire scherzevolmente le cose serie, e seriamente le scherzevoli. Di quivi se ne va a Firenze, a Roma, a Napoli; e nell'isola di Procida, vicina a quella capitale, s'innamora della figlia d'un pescatore, che avea fatto il voto di divenire la sposa di Dio. Il leggitore s'immaginerà facilmente tutti gli ostacoli che si frappongono alla loro unione, e tutte le avventure che succedono. Finalmente un illuminato ecclesiastico vince gli scrupoli religiosi della giovane Nisieda, la marita a Barimore, e i novelli sposi vanno a soggiornare in un'amena casa sulla costa di Pozzuoli, ove per qualche tempo gustano le delizie della vera felicità. Ma nella superstiziosa Nisieda, si risvegliano a poco a poco gli scrupoli; sogni sinistri, apparizioni di fantasmi, consulti di feminette, tutto in somma contribuisce a renderle insopportabile la vita; e per colmo d'infortunio un sentimento di terribile gelosia le si desta nel cuore. Uno zio di Barimore cade malato in Roma; il nepote parte solo per rivederlo. Qui comincia una serie d'avvenimenti singolarissimi, il risultato de' quali è la morte di Nisieda, di Barimore, dello zio, d'una certa Wisbura e d'altri ancora, che muojono tutti della morte più romantica che si possa mai immaginare. Non rimane in vita per accidente che il buon abitante di Calicutte, il quale assume l'ufficio di scrivere il loro epitaffio, e di tramandare ai posteri la lunga serie di tanti lagrimevoli casi.