GERTRUDE OF WYOMING, ec. Gertrude di Wyoming. Poema in tre atti di Tomaso Campbell. – Terza Edizione. Londra, 1810.
Chi udrà che il sig. Campbell è fra i poeti inglesi viventi il capo della scuola classica, e che nel suo paese egli gode di un'alta riputazione non contestatagli nè anche dai poeti più celebri della scuola romantica, dirà: Ecco dunque un valente propugnatore degli argomenti greci e latini, anche nella terra di Shakespear, nella patria del romanticismo! No, non ve ne lusingate. La differenza che v'è tra classico e romantico in Inghilterra non è la stessa che s'è stabilita fra noi. Là i classici concordano coi romantici nella opinione che non s'abbiano a proscrivere argomenti di nessuna specie, quando il poeta si senta ispirato a desumerne canti originali; ma concordano anche nel reputare difficilissimo il trattar soggetti greci o latini senza incorrere nel pericolo di riprodurre con troppa servilità ciò che già leggesi in Omero, Virgilio ed Orazio. Epperciò s'appigliano generalmente si gli uni che gli altri a cantare argomenti moderni, cioè dal principio del medio evo in poi, considerandoli come legati alla nostra religione, o al nostro incivilimento, o alla storia patria, e quindi più probabilmente atti ad interessare i lettori presenti. I romantici d'Italia professano appunto questa dottrina, e nessuno di loro s'è mai sognato, raccomandando gli argomenti moderni, di pretendere che un uomo di genio non possa fare eccezione alla regola, e comporre ancora un poema immortale servendosi di qualunque storia e di qualunque sistema di mitologia; le verità generali sono sempre soggette a qualche eccezione, e coloro stessi che sconsiglierebbero un Dante dal fare un poema mitologico piuttosto che un poema analogo a' suoi tempi, nondimeno sono persuasi che se un Dante vuol cantare gli Dei dell'olimpo, egli troverà il modo di dar freschezza a ciò che sembra più rancido. I romantici d'Italia biasimano bensì l'intolleranza de' nostri pedanti che, intitolandosi classicisti, non vogliono di legittimo in letteratura fuorchè ciò che hanno imparato nelle scuole, e chiamano barbari Shakespear, Schiller, Goethe e tutti gli scrittori che hanno una straordinaria impronta d'originalità. I romantici d'Italia in somma pensano come già pensarono l'Alighieri, il Petrarca, il Tasso e l'Ariosto, che dai greci e latini si debbano non copiare eternamente gli stessi quadri, ma bensì imparare a dipingere nuovi quadri colla stessa arditezza di disegno e armonia di colorito. Essi dicono che la letteratura è la più inutile delle arti se non ha per iscopo di scaldare il cuore della nazione in cui viene coltivata, ispirando un vivo entusiasmo non già per la sola musica di un bel verseggiare o periodare, ma ben più per le idee generose, pei sentimenti elevati, per tutte le virtù che possono nobilitare un popolo agli occhi del mondo e di se medesimo. Non è strano che siffatta opinione sia sembrata ridicola a molti che non vedono nella letteratura fuorchè un balocco con cui divertirsi, o uno strumento con cui sfogare la propria malevolenza; ma è strano che a costoro si sieno alleati alcuni scrittori di sommo merito dando il nome di bandiera del classicismo a una bandiera che era quella dei nemici della filosofia e della tolleranza letteraria. Il tempo però che dissipa tutti gli errori dimostrerà che i romantici italiani non furono poi tanto ridicoli allorchè manifestarono il desiderio che la letteratura della loro patria influisse efficacemente al miglioramento morale della nazione; e se dureranno in Italia le denominazioni di classico e romantico, esse non accenneranno più due partiti discordi su questo punto, ma soltanto (come attualmente in Inghilterra) due dottrine letterarie, l'una delle quali cerca d'emulare gli antichi in quella specie di bello, di cui l'attributo principale è il semplice, e l'altra nel rinvenire un'altra specie di bello, di cui l'attributo principale è il singolare. Nè alcuna delle due dottrine niega essere ufficio speciale della letteratura il promuovere o colla scelta degli argomenti o collo svolgimento delle idee, piuttosto che uno sterile piacere in chi legge, un caldo amore per la patria e per le virtù civili.
Il sig. Campbell nel suo poema della Gertrude ha voluto consacrare un monumento alla memoria d'una infelice colonia inglese, che dopo aver prosperato alcuni anni nella Pensilvania fu distrutta da una incursione di selvaggi. Questa disgrazia accadde nel 1778, ma una viva ricordanza n'è rimasta nel popolo d'Inghilterra. Il sig. Campbell ha sentito quanto sia morale ogni ricordanza che una nazione conserva delle patite sventure. Il poeta filosofo non perde mai un'occasione di tener viva ne' suoi coetanei la sacra favilla della pietà filiale e fraterna. Quanti inglesi bagnano di lagrime i versi del sig. Campbell, sospirando i genitori o gli amici perduti a Wyoming! Quanti altri Europei a quella lettura s'inteneriscono egualmente pensando a que' loro amici o conoscenti, che avendo per qualsiasi titolo abbandonato il nostro continente, perirono forse come gli abitanti di Wyoming per le mani dei barbari! Siffatti compianti rinforzano molti affetti sociali; ogni padre s'adopera con maggior fervore a collocare in vantaggiosa condizione i suoi figli nel proprio paese, affinchè non sieno mai tentati di trasportarsi nelle colonie; e l'avversione ad emigrare è uno dei più forti caratteri della moralità nazionale.
Uno scrittore volgare per far nascere quell'avversione si sarebbe dato a declamare contro l'ingratitudine di chi abbandona la terra che lo ha accolto e nutrito nell'infanzia; (sofismi rettorici!) e avrebbe quindi dipinto con orrendi colori le sventure degli emigrati a Wyoming. E chi sa anche se per adoperare un po' di maraviglioso (sussidio creduto così efficace nei poemi narrativi) non avrebbe fatto venire S. Giorgio protettore dell'Inghilterra, o per maggiore naturalezza qualche divinità pagana, a comandare la strage di Wyoming onde punire gl'inglesi disertori della loro patria! Non così il sig. Campbell. Egli per produrre un maggior effetto e allettare i più propensi all'emigrazione, nasconde il suo scopo e comincia con una descrizione incantevole della felicità che godevano i coloni Pensilvani. Le declamazioni enfatiche persuadono di rado, se prima il poeta non ha trovato il segreto d'impadronirsi del cuore de' lettori, lusingando apparentemente le loro passioni. Chi non vorrebbe trasportarsi a Wyoming udendo il racconto della vita tranquilla e innocente che si traeva in quelle romanzesche contrade, ove sparite tutte le distinzioni sociali che diminuiscono in Europa l'amor fraterno tra i cittadini, ognuno rinveniva il suo interesse nell'interesse del suo simile? [...]
Il sig. Campbell invece di rimproverare agli esuli la loro dimenticanza del luogo natio, prende il loro partito, li giustifica accennando i mali che li hanno indotti a ramingare, e riferisce quanto il desiderio della terra materna viva sempre nell'anima dei buoni. [...]
Questo re della colonia – di quella specie di re pastore, di cui l'Evandro di Virgilio è forse il più amabile ritratto che ce n'abbiano disegnato gli antichi – questo Alberto non ha più altra compagnia nella sua povera reggia fuorchè un'adoratissima figlia. La bellezza e la virtù di Gertrude sono l'amore di tutto il paese. Ella diffonde la sua dolcezza e la sua bontà sovra tutto ciò ch'ella mira, ma nulla con tanto trasporto ella mira quanto il suo ottimo genitore. Alberto che aveva insegnato a' suoi compatriotti a cercare nei mondi occidentali la libertà britannica, vedendo con gioia che il suo focolare teneva vivo in tutti i coloni il calore dell'amicizia sociale, era il più beato dei re. Una sola disgrazia gli aveva alcuni anni sono lacerato il cuore, "quando il fato (dice il poeta) lacerò due cuori, – ma uno cessò di palpitare – e Gertrude strinse le ginocchia del vedovo padre."
Alberto, che non avrebbe potuto sopravvivere alla sua sposa, trovò quasi una nuova esistenza in quella della figlia. Egli prende fin da bambina ad educarla, facendosi nello stesso tempo suo compagno di giuoco e suo maestro; e qui il sig. Campbell ben mostra quanto abbiano torto coloro che arrogandosi il nome di classici ci vengono predicando essere passata l'età poetica, e non poter noi più parlare d'educazione se non prosaicamente, ovvero riproducendo i Centauri che educavano gli Achilli, e così ogni costume moderno dovere in poesia cedere il campo ai costumi antichi o favolosi. I classici inglesi dicono coi romantici italiani, che tutti i quadri che parlano al cuore e all'immaginazione sono poetici, e che forse più che un rozzo pastore il quale insegna a tirar d'arco a' suoi figli è poetico, cioè parlante al cuore e all'immaginazione un cittadino europeo che fattosi, pastore ma non rozzo, ma coperto delle vicende degl'imperi, ma filosofo, insegna alla propria figlia ad attignere dai libri tutto ciò che anche una donna può senza pedanteria imparare, cioè la cognizione delle sciagure umane, e quel gusto fino del bello ideale che sì bene si collega col gusto puro della virtù. In quest'Alberto che per me ha tutto l'interesse d'Evandro, in questo re che seduto al suo umile focolare o sotto un albero rende la giustizia ai suoi sudditi a lui eguali in ricchezza, io ammiro ben più che la semplicità patriarcale degli antichi poeti! e Gertrude non perde niente a' miei occhi, perchè invece di dirmi che va a lavar le camice come la principessa Nausicaa, mi si dice che sa anche leggere. La disgrazia di saper leggere non le toglie nulla delle grazie onde il poeta la rappresenta adorna allorchè fra le cure domestiche ella sorride pietosamente al vedovo padre, o allorchè a lui fa così dolce il passeggio meridiano coll'ingenuità e la sensatezza de' suoi discorsi. Il sig. Campbell ci mostra insomma che è pienamente secondo la teoria classica inglese ciò che Lodovico di Breme ha scritto con tanto scandalo dei classici italiani, quando disse aver Longino fatto giustamente consistere in gran parte l'efficacia poetica nel patetico, non già nel patetico volgarmente inteso, cioè soltanto malinconico, ma in quello che è l'espressione di ciò che v'ha di più riposto e di più profondo nell'animo umano, e potere in questo patetico, noi moderni, essere superiori a tutta l'antichità. [...]
Certamente egli sa farci simpatizzare con l'ingenua Gertrude, di cui ci dipinge l'infanzia in tutto l'incanto di quell'età.
Prima dei nove anni Gertrude non aveva mai avuto altro compagno che il padre. Ma a quest'epoca, mentre una sera ambidue guardavano dalla loro pergola il vicino lago, videro discendere un bruno indiano dalla sua barca ed avanzarsi conducendo seco un fanciullo vestito all'uso cristiano e di color bianco. "Per essere così giovinetto, il fanciullo parea molto pensoso – non v'era il minimo indizio di sorriso sulla sua lucida guancia." – Giunto ad Alberto il guerriero d'Oneyda, appoggiandosi sul disteso suo arco, e posta una mano sulla testa del ragazzo, parlò in questa guisa al reggitore di Wyoming: – "Con te sia pace! Il dono di questo balteo conferma la mia parola. Questo tenero allievo lo consegno all'amor tuo; difendi l'augello implume, poichè è morto il colombo che l'ha generato. Io, o Cristiano, sono il nemico de' tuoi nemici; la confederazione de' nostri popoli comprendeva anche i tuoi fratelli." E segue raccontando come gli Uroni fingendo amicizia cogl'Indiani d'Oneyda e cogli Europei loro alleati li assalirono impensatamente e ottennero una sanguinosa vittoria sovra questi ultimi. [...] Questa notizia lacera il cuore d'Alberto. La famiglia di Waldegrave era intimamente vincolata con lui fin dalla gioventù. Egli si risovviene di tutte le innocenti dolcezze che godettero insieme in Inghilterra, e deplora il destino che li ha fatti uscire da quel beato paese per venire a perire così miseramente in America. Che sono la pace, la felicità, la giustizia che regnano in Wyoming? Tutti i beni spariscono quando si piangono le persone che si amavano.
Alberto adotta l'orfano bambino coprendolo di lagrime – e durante questa scena di desolazione il guerriero selvaggio rimane con volto impassibile e con occhio asciutto, fedele al principio degl'Indiani di celar sempre dignitosamente nel fondo del loro animo le più fiere angosce – "stoico dei boschi, uomo senza pianto." – [...]
Il poema è diviso in tre canti. Qui finisce il primo e ci fermiamo. In un altro articolo daremo contezza dei canti seguenti.
S. P.