La Conquête du Méxique, par C. F. VAN-DER-VELDE, trad. de l'Allemand. Paris, Renouard, vol 2 in 12.
In tutte le discipline e le arti, sien nobili o vili, niuno può giugnere all'eccellenza senza un lungo studio, e sottili osservazioni, e molti sperimenti. Un buon coltivatore non iscoppia fuor delle querce, nè un valente falegname ci vien giù dalle nuvole. Chi vuol esser dotto, conviene che molto studj, e sudi, ed abbia dì e notte alle mani gli eccellenti modelli del gentile scrivere e i padri delle scienze e delle arti migliori. Così la pensavano un Virgilio e un Orazio: così tutti gli altri nobili scrittori, e tra essi l'Alfieri, che dovette logorarsi gli anni della virilità per emendare il difetto dell'adolescenza e gioventù, consumate vanamente ne' libri di niun conto, ed in viaggi fatti per giovanile impazienza. Ma ora sono mutate felicemente le condizioni degli studj. La gioventù, quasi paventasse che troppo deggia tardare l'età della prudenza, vuol esser dotta prima di aver imparato, e vuol farsi maestra al mondo prima d'aver compiuto il corso delle istituzione elementare. Ad appianarsi la via, che ben vede esser malagevole, comincia dal mostrar dispregio della propria lingua, lodando i barbarismi come filosofia, e le regole del ben parlare vituperando come pedanterie. Alla logica ed alla buona metafisica volta le spalle superbamente, appellandole rancidumi scolastici. I precetti dell'eloquenza e della poetica chiama ceppi degl'ingegni: ogni sfrenatezza d'immaginazione, ogni idea gonfia, strana, ridevole, tutto accoglie, e lor dà nome di genio e di lumi. Con questo nuovo metodo (I) non è cosa così facile, come l'empier volumi. Questa irrequieta brama di voler apparire tra' letterati, e di abbassare i solenni scrittori, perchè non si vegga quanto essi sien maggiori della turba volgare, ha nome di romanticismo letterario. E però non è da far le maraviglie, se in pochi anni sien venuti fuora (senza dir delle ristampe) infiniti libri, i quali come nebbia, dopo d'averci tolto per pochi momenti il dolce lume del sole, sono iti in dileguo, avantichè i loro Autori scendessero nel sepolcro. Io non ardirei affermare che il Van-der-Velde si abbia a collocare in questa schiera infelice; ma so che di pregj letterarj niuno si trova ne' tanti volumi da lui pubblicati. Egli prende una storia; la divide in piccoli brani, cui dà nome di capitoli, ed in luogo di scrivere: Cortez adunati i suoi compagni mostrava loro le ricchezze del Messico, qual preda a' valorosi preparata ec. dirà più volontieri: "Cortez chiama un suo famigliare e gli dice: Va, e di' al Capitano N. N. che faccia qui raunare gli Spagnuoli. Il servo, dopo rispettoso inchino, si parte ec. ec." Con quest'arte nobilissima di allungar la storia, spargendovi per entro eziandio molte favole, e frizzanti concetti, e disprezzo delle cose più rispettabili, in pochi giorni, l'uomo si trova aver bello e composto un romanzo storico. Nè molto è dissimile il nuovo artifizio delle tragedie romantiche: si prende un pezzo di cronaca, la quale abbracci mezzo un secolo e due o tre regni: si traduce in cattivi sciolti, mettendola in dialogo; e cotal misera leggenda è tragedia romantica, da far vergogna alle Meropi, a' Dioni, alle Virginie, alle Atalie. Che sarebbe della civiltà europea, se tal insania durasse una intera generazione? Ma grazie alla Provvidenza, non mancano scrittori valenti, che il buon gusto difendono dagli assalti de' romanticisti. In Francia specialmente, ove sursero mai sempre nobilissimi ingegni, non si dà perdono a quello che ivi dicesi galimatias romantique; e i più acclamati romantici sono i più combattuti, per la regola generale che il loro esempio può esser cagione di traviamento all'incauta gioventù, che ama d'esser liberata dai ceppi della lingua, del ben pensare, e dell'eloquenza, per essere prestamente dotta e rinomata. Odasi come la Gazette de France (I) col semplice uso del corsivo dia risalto ad un periodo di un lodato Scrittore vivente: "La Grecia si è rivolta alle potenze d'Europa: l'orfanella insanguinata della civilizzazione non si sarà prostrata invano ai piedi della civilizzazione riconoscente. Se nella bilancia dell'Europa oggidì la Grecia mette il peso della sua ragione per mantenerne l'equilibrio, è egli a dire, ch'ella abbia perduto la sua spada che potrebbe farne inchinare il bacino?" Qui domanda il critico: il bacino di chi? il bacino dell'Europa, il bacino della ragione, il bacino dell'equilibrio? I romantici rideranno di un Censore che vuol essere ragionevole; e noi lasceremo che ridano a lor posta; pregandogli intanto a leggere un bel passo di M. de Chateaubriand (2), in cui dice, tra le altre cose, che uno de' principali caratteri di tanti libri, e libricciuoli che vengono pubblicati a' dì nostri è l'IGNORANZA. Noi sappiamo che a' romanticisti non vanno molto a sangue le verità, che tratto tratto dobbiamo ricordare a' nostri lettori: ma che perciò? Dovrem noi tradire la verità? ingannare la gioventù? Il nostro Giornale è destinato a onorare i buoni Scrittori, a notarne modestamente gli abbaglj; a difendere il buon gusto, a propagare le verità scientifiche, a far cauti i giovani studiosi. Da Parigi, dalla Sicilia, da Napoli, dalla Toscana, e dalla Lombardia ci vengono lettere che ne ringraziano pel già fatto, e ne incoraggiano a durare nell'onorata impresa; e i criticati ci si dichiarano assai tenuti sì de' modi, sì delle ragioni adoperate nell'estratto de' libri. Quanto ad alcuni de' nostri Romantici, che di noi fanno altissime querele, noi perdoniam loro, perchè dicono ciò che loro suggerisce il calore dell'immaginazione; e tutti sanno che l'immaginazione de' giovani è non pur calda, ma ardente. Ed a confortarli trascriviamo loro questo tratto prezioso di M. Colnet: "Stampasi un poema eroicomico in 22 canti, intitolato la Filippide. Niuno osa leggerlo: i più intrepidi sono atterriti; io mi ci metto attorno: intraprendo questa fatica d'Ercole, e dopo d'averla terminata, dopo d'aver letto la terribile Filippide, senza saltare un solo de' suoi 3om. versi, credo poterne dire ciò ch'io ne penso; dicendolo per altro pulitamente e senza sentir d'amarezza: chè i poeti sciagurati sono degni di compassione; massima che non dimentico mai. Ad onta di tutto questo, eccoti M. Viennet, che se ne cruccia, e non facendo conto nè della fatica, nè della pulitezza, pubblica una satira amara, che mi fanno leggere, ed in cui mi tratta, Dio sa come. Io sono un altro Zoilo, guai chi ne dubitasse: ho assalito un nuovo Omero. Deh! mettasi la mano al petto il Sig. Viennet; e dicami così a quattr'occhi: la sua Filippide è ella, sì o no, un poema noioso? Ma dappoichè egli ha un carattere così irritabile, e che la più dolce critica lo ferisce al vivo, io troverò modo di non dargli più motivo di stizza. Stampi quanti poemi eroicomici egli vuole: io farò come gli altri: non li leggero più (I)."
(I) "Voluminum moles terret: prolixa, seria, difficilia, sive sint, sive videantur, voluntatem abducunt. Hinc juvenum magna pars, ne dicam maxima, mollitie, ignavia, desidia languentes, jam et praecepta et Doctorum vocem et gymnasia, omnia denique, nisi gerras, pertaesi etc." Così l'edit. Torinese del libro intitolato: Historiae et Romani Sermonis Exemplaria.
(I) 19 juin 1829.
(2) Conservateur, tom. I. pag. 38.
(I) Gazette, de France, 23 juin 1829.