L'Ambassade en Chine par C. F. VANDERVELDE. Paris, Renouard 1827 in 8.°
Sono alcune contrade colà nel settentrione dell'Europa, le quali si troverebbero avvolte per molti giorni, anzi per mesi intieri, nell'orror della notte, se tratto tratto non risplendesse agli occhi di que' miseri abitatori la pallida luce delle aurore boreali. E di questo fulgore, qual che sia, debbon gli uomini di que' paesi render grazie immortali alla divina Provvidenza. Ma se le nazioni del mezzodì, ove l'alma luce del sole ogni giorno risplende, ed avviva la natura, chiudesser gli occhi al dolce lume, e si volgessero desiosi a sospirare le aurore boreali, sarebbe da dire che fossero in tutto fuori del senno. Questo che diciamo dell'aurore settentrionali e del sole, puossi molto acconciamente applicare alla letteratura romantica ed a quella detta de' Classici. Omero e Scott, Virgilio e Cooper, Tasso e Van-der-Velde, così sono per sapienza e per grazia lontani gli uni dagli altri, come l'immenso splendore del gran pianeta è lontano dalla pallidezza delle aurore settentrionali. Che se in tutti i Romanzi storici mancano i pregi, che fanno i libri e gli autori immortali per fama, che diremo dell'Ambasceria alla China, ch'è senza contrasto uno de' più scipiti tra' romanzi moderni? A far prova di quanto diciamo, si noti che gl'Inglesi parlano nella China familiarmente con uomini e con donne d'ogni condizione; né l'autore pensò a dirci come s'intendano tra loro; anzi (cosa incredibile!) dopo averci narrato i colloqui di un luogotenente inglese con una giovine della China, fa che questo militare cerchi un maestro di lingua chinese per apprendere à exprimer le choses les plus nécessaires (facc. 108). Sic itur ad astra, direbbe il Chiabrera.