[...] A mostrarvi però che m'è caro di non abusarmi poi tanto di vostra gentilezza: passo subito innanzi a toccarvi qualche parola del primo romanzo, col quale si apre la biblioteca. Esso è tratto dalle opere di Augusto Lafontaine di Brunswich, autore ancor vivo, e che da' prelodati editori è onorato di molte lodi. Dicono essi d'aver dovuto usare assai diligenza nel far tale scelta; e v'ha bene di che dar loro ragione; perchè avendo il Lafontaine resi di pubblico dritto cento venti volumi in dodici grande (che tanti sono quelli dell'ultima edizione di Berlino), e tutti consecrati a romanzi, poteva benissimo incontrarsi dubbiezza nel definire quale fosse il più bello e il più nobile, e quale fra tutti meglio rispondesse al fine di un'opera, che dovea essere di diletto e d'istruzione alle donne gentili. Questa scelta è andata su di un romanzo, che ha per titolo Le confessioni al sepolcro. Vedete, la prima cosa, titolo prezioso e caro! Vedete qual convenienza d'idee vi cade subito nella mente! Dall'una parte quel sentire una cosa offerta alle donne, vi fa subito venir nel pensiero una infinità di dolcezze e di bellissime cortesie: credete che tutto vi debba ridere intorno: e già ve ne gode il cuor tutto quanto. Dall'altra quei sepolcri, oh Dio! vi mettono nell'anima un ribrezzo, un orrore, un raccapriccio, e vi sentite quasi tremare le vene e i polsi alla terribile idea della eterna stanza di morte.
Ma andiamo innanzi, perchè ho qualche altro regalo a farvi simile a questo. La narrazione del fatto, sul quale raggirasi questo romanzo, è brevissima e della maggiore semplicità. Un certo Ermanno, ispettore delle foreste di un principe della Germania, perde nella vecchia età sua un amico, che amava di sincerissimo amore. Una tal morte lo pone subito in una profonda melanconia: i suoi pensieri non si volgono ad altro che sul finir delle cose, e come o presto o tardi la morte t'aggiunge, e ti mette in grembo all'eternità. Questo pensiero lo fa tremare d'assai, e sì lo prende nella imaginazione, che gli par quasi di dover mancare fra pochi istanti alla vita; e ponendo angoscioso ora l'una mano a' polsi per misurarne le battute, ora l'altra alla fronte per sentire s'era ancor presa d'alcun freddo sudore, eccovi un secondo pensiero che lo distrae affatto dal primo. Si fa il buon vecchio a riandare gli anni di sua giovinezza, e a discorrere nella mente tutte le vicissitudini della sua vita; e persuaso che la narrazione dei casi suoi possa partorire un qualche buon frutto negli animi de' lettori, si pone ordinatamente a narrare tutta l'istoria sua: e questa istoria è da lui detta le Confessioni al sepolcro. Non aggiungo di più, perchè non voglio recarvi noja, e perchè pare che la cosa non meriti il trattenervisi d'avantaggio. Solo vi dirò i titoli dei paragrafi del I.° volume, onde ne possiate voi stesso formar giudizio. I titoli son questi: La morte; Io . . ; La scoperta di un tesoro; Il ballo delle fate; Il giovine ispettore delle foreste; La madre; L'omicidio; Essi si riveggono; La promessa violata; La primavera di mia famiglia: L'usurajo; Le prime burrasche di mia vita. Or dite voi, caro Betti, se punto dissimili a questi potrebber essere i titoli di quelle magre favolette, con cui la povera vecchierella, che consuma le sue dita filando, studiasi presso il suo letticciuolo d'invitare al sonno quel caro fanciullo, di che le occorre aver cura? Io non ho che tre soli volumi di questa biblioteca, e tutti e tre sono intorno a simili confessioni, e credo bene che anderan più oltre; non essendo ancor terminato il racconto delle avventure di Ermanno.
Toccherò ora qualche cosa ancor dello stile, affinchè vi abbiate di tutto un saggio; e per essere discretissimo, prenderò due o tre coserelle del I.° capitolo, cosicchè se queste pel loro dolce vi toccano l'ugola, possiate poi da voi medesimo saziarvene pienamente leggendo l'opera per intero. Sapete voi a che mai vengano rassomigliati dal Lafontaine i conti che il vecchio Ermanno fa con la morte, quando si tocca i polsi, e si pone la mano in fronte?Dice ch'essi non furon per lui più che una specie di carta geografica della sua vita, sulla quale gittava gli occhi per godere un'altra volta del passato. E quando Ermanno dimanda a se stesso perchè i casi della sua vita non avrebbero potuto recar qualche buon frutto nei leggitori, sapete voi come egli si esprime? Eccovelo, e tenetevi anche quest'altra gemma, tutto sapore romantico: Ma perchè le lacrime e il sangue non potrebbero essere la rugiada d'una bella messe? E non lo sono esse adunque? Ecco la dimanda che feci a me medesimo. Ed ecco come venni naturalmente alle mie confessioni sul sepolcro . . . Ma perchè darvi solo di queste bricciole? Eccovi il principio del primo capitolo, ed abbiatevi con ciò una idea anche più chiara dello stile di questo autore, e vedete qual saporito piattello si offre a gustare alle amabili donne. Jeri mi stava lì ritto in piedi al letto di morte del mio vecchio amico. Ah! non più che cinque giorni prima seduto a canto a me ad una lieta mensa egli godeva della vita con quella allegrezza che ispira una salute sicura, ed eccolo intanto steso lì . . . I suoi occhi spenti sono rivolti ad un mondo migliore, le sue mani indebolite hanno ceduto allo sforzo fatto in piegarsi per pregare . . . Le pallide sue labbra non hanno potuto pronunciare un ultimo addio al suo amico! . . . Egli sospirò . . . e morì .... Poffar Dio! E sarà egli vero che in Italia si abbiano a legger di tali scempiaggini, che ti serrano il cuore, e ti mettono quasi fuor della mente! E noi patiremo con quieto animo, che opere tutte ghiaccio settentrionale, abbian pure a vestirsi delle soavità e delle grazie di questo nostro bellissimo idioma, e baldanzose menin trionfo a Roma, a Napoli, a Milano, a Firenze, a Torino; e le si presentino alle nostre donne, siccome gioje di raro valore, col fino inganno di dilettarle e istruirle? E sarà vero che di questa vile moneta pagheremo quel nobile sesso, che ha cresciuto onore alla italiana letteratura e con le Isotte Nogarola, e con le Battiste Sforza, e con le Vittorie Colonna, e con le Veroniche Gambara, e con le Cassandre Fedeli, e con le Stampa, e con le Bassi, e con le Agnesi, e con le Manzolini, e con le Tambroni, e con tante altre? Io per certo nol saprò loro mai menar buono; e dico apertissimamente, che questo è un tradirle e invilirle, e che a diritto meriteremmo che questi adorabili esseri ci mostrassero un certo mal viso, e ci discacciasser da loro; e mai più non ci consolassero neppur d'un sorriso.
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