Fine dell'articolo sull'Ape Romanziera, ossia Raccolta de' migliori Romanzi inediti.
Noi possiam riguardare il Romanzo di Augusto Lafontaine, le Confessioni al Sepolcro, come quello in cui è maggiormente scolpito il carattere di questo scrittore — Egli finge che l'eroe del suo Romanzo, Ermanno, racconti da sè stesso le sue avventure; e per dare forse alle medesime maggior aria di veracità, fà ch'Ermanno, profondamente colpito dalla morte d'un suo vecchio amico e penetrato dell'idea del suo proprio prossimo fine, nulla scorgendo di lieto nella parte del vital corso che gli resta ancora a compiere, si rivolge al passato, e riandando i vari casi di sua vita, si compiaccia di discorrerli innanzi alla tomba dell'amico defunto. Ma non ci è dato di far conoscere lo scopo morale di questa narrazione meglio di quel che il sig. Lafontaine stesso lo ha fatto nel cominciamento dell'opera. Ecco le parole di Ermanno nel primo capitolo intitolato la Morte: "Chi legge questi miei sensi interrogando il suo cuore, potrà dimenticare i travagli suoi paragonandogli a' miei, e conoscere da quanto sono per confessare, che le avventure di tutto il genere umano non sono altra cosa che le avventure d'una famiglia; picciol dramma misto di patimenti e di gaudio, rappresentato in una cameruccia, ma composto degli elementi stessi dell'alta tragedia, in cui Re, Principi, combattimenti, torrenti di sangue, pugnali, tazze avvelenate si danno a spettacolo. Quando la scena è finita, la Morte ordina a ciascuno di metter giù il manto reale e gli stracci; ed essa asciuga le lagrime di una persona sola, come quelle di tutto un mondo: ogni cosa sparisce, e Dio solo resta eternamente."
Sembra a prima giunta impossibile che con avventure ordinarissime di personaggi, la piupparte de' quali e i più importanti nulla offrono di singolare nel loro carattere, e con un protagonista d'una condizione men che mediocre e d'una tempra buona sì ma affatto comune, si possa giungere a tessere un racconto interessantissimo. Eppure tanto si verifica appunto nelle Confessioni al Sepolcro. La perdita d'una picciola fortuna, le angustie d'una oscura famiglia, le speranze d'un risorgimento, tuttocché cose ovvie, pure posson destar fino a un certo punto qualche interesse per sé medesime; ma quel ch'è invero sorprendente nell'autor nostro, si è ch'egli ha l'arte ancora di rendere interessante una lunga serie di colazioni, di pranzi, di cene, di conversazioni, di provvedimenti di domestica economia, di passeggiate, di lavori donneschi o campestri, di che si compone la vita di pochi individui d'una stessa famiglia, anche nel tempo che questa non subisce vicenda alcuna. E ciò sarebbe di fatto inesplicabile per chi tutto non intendesse l'irresistibile potere della verità delle sue pitture, della semplicità massima de' suoi colori, e di quel sereno calor di sentimento che anima tutti i suoi quadri. Il trovar il bello nelle cose comunissime è il più gran trionfo dell'ingegno; ossia del talento di osservare posseduto nel suo più eminente grado; è un conseguire nel Mondo intellettuale quel che nel Mondo fisico l'avido alchimista indarno si affanna a ricercare procurando di cavar l'oro dalle men preziose sostanze. La immaginazione del n. a. però sembra rifuggire da tutti gli oggetti schifosi, luridi, o che in qualunque modo urtano i sensi; dipinge la Indigenza ma senza cenci, e i Morbi senza cosa alcuna di nauseante; anzi la proprietà e la gentilezza di cui vuol tutto rivestire danno spesso al suo racconto il tuono d'un Idilio modellato sull'Ideal Bello della vita pastorale. I grandi scellerati, che pur sono una delle possenti macchine de' Romanzi e delle produzioni teatrali, non vanno nemmeno a genio al sig. Lafontaine, e quando è costretto ad introdurre un carattere di tal nerezza par che tema di compirne la pitture. In una parola, traduce nelle opere sue un cuor retto e un anima straordinariamente dilicata.
Dovremmo ora far parola della Straniera del Visconte D'Alincourt; ma nè di questa, nè di altra sua produzione o già pubblicata, o da pubblicarsi crediamo di doverci occupare. Persuasi che, se gli eccellenti scrittori possono produrre qualche opera cattiva, i cattivi non ne possono scriver mai delle buone, ci basta il dimostrare che il citato autore è da comprendersi fra questi ultimi per giustificare una volta per sempre il nostro silenzio.
Un cattivo autore timido si può fino a un certo segno tollerare per la sua circospezione; ma un cattivo autore arrogante, che vuol persuadere a sè stesso di essere un grand'uomo sforzandosi a persuaderne gli altri, è il più insopportabile ente del Mondo letterario. Chi ha veduto i salti, le contorsioni, le moine d'un porcaio arrichito e i calci e gli urti ch'egli dà a manca e a dritta volendo colle sue caricate gentilezze darsi l'aria d'un gran signore, ha in quello l'immagine sensibile delle intellettuali affettature d'un uomo che sfornito assolutamente d'ingegno, sen voglia mostrare ricchissimo. Dotato il sig. D'Arlincourt del meschino talento di far qualche mediocre rettorica descrizione d'una tempesta, d'una campagna, della notte, del giorno ecc. ciò che avrebbe potuto farlo distinguere fra gli alunni d'un Liceo, senza accorgersi della estrema picciolezza della sua barca si è arditamente spinto in mezzo all'Oceano colla speranza non solo di raggiungere, ma di avanzare anche nel corso le navi più grandi: egli affaticando incessantemente e vele e remi sembra un energumeno; ma ad onta di tutti i suoi sforzi il cammino che fa il suo legno è sempre quello d'una barca piccioletta. Senza intendere la genesi e natura delle passioni, la varietà de' caratteri, i profondi arcani del sentire, egli ci dipinge un mondo tutto immaginario e così monotono, così strano, così privo d'ogni benefico influsso di ragione, che niun uomo dotato di senso comune vorrebbe abitarvi neanche per un momento. Egli tinge a nero tutte le decorazioni della sua Scena, a nero veste i personaggi: tutto è lagrime, tutto è palpiti, tutto è sospiri: le sventure, che distribuite a rate eguali fra cento persone pure si renderebbero improbabili, egli le accumula sopra il capo d'un solo individuo; da' più piccioli a' più grandi personaggi nell'Ordine Socievole, egli li mette tutti in azione; e tutti in fondo non sono che la stessa cosa. Il Re, il contadino, il Generale, il soldato, le Principesse, le mogli de' piscivendoli, i vecchi, i giovani, i fanciulli, le matrone e le donzelle, il Romito e il carnefice mostrano la stessa penetrazione la stessa esperienza del mondo, la stessa sensibilità, la stessa dottrina. Si direbbe che l'autore a forza di distribuire sì largamente altrui il buon giudizio non se ne abbia ritenuta neppure una dramma per sè medesimo. D'onde mai copia il sig. D'Arlincourt questi suoi personaggi e questi avvenimenti, poichè la Natura non glie ne offre certamente i più lontani modelli? Ecco il quesito che dopo la lettura del Solitario e della Straniera noi facevamo a noi stessi, e che pur non sapevamo risolvere. Ma un amico, cui spiegammo la nostra curiosità, caritatevolmente appagolla dandoci la seguente risposta. "Dopo aver io veduto rappresentar da attori affettati molti Drammi Sentimentali pieni delle più stomachevoli Caricature, il cui argomento era tratto dagli affettatissimi Romanzi di Arnaud, ecco esclamai, ecco i personaggi, ecco il Mondo che ci descrive cogli adorni della propria immaginazione il Visconte D'Arlincourt!"