Lettere di Giulia Willet pubblicate da Orintia Romagnuoli – Roma, 1818.
Molti che hanno un sacro orrore pei Romanzi si congratulano coll'Italia che non possegga quasi alcuna di siffatte produzioni. La ragione che vien data di quel sacro orrore pei romanzi è imponente. In essi si parla d'amore, e la gioventù leggendoli s'ammollisce troppo l'animo. – È giustissimo. Concediamo che l'uomo ha bisogno di virtù maschie; concediamo che in mezzo ai doveri di cittadino, appena dovrebbe egli, come già i fieri Lacedemoni, avere il tempo di salutare furtivamente la sposa del suo cuore; il sospirar d'amore non dovrebbe parere che una debolezza. – Ma che dire quando coloro stessi che vedono ne' romanzi una corruzione della gioventù, raccomandano poi a questa gioventù di imparare la pretta lingua toscana nel Decamerone e in simili libri, dove non solo l'amore, ma quasi sempre l'amore licenzioso campeggia? L'avvezzarsi a ridere ne' nostri novellieri di tutto ciò che il pudore e le leggi vogliono che maggiormente si rispetti, sarà forse più morale che l'avvezzarsi a compiangere ne' buoni romanzi le sciagure degli animi sensitivi e a inorridire delle trame che la perfidia tende all'innocenza e alla virtù? Eh! Lasciamo un linguaggio ipocrita! Siamo ben lungi, pur troppo, dal poter divenire Spartani. E giacchè l'Italia non arrossisce delle oscenità onde son ricche le prose e le rime di parecchi fra' suoi celebratissimi scrittori, l'Italia può anche desiderare d'acquistare un genere di letteratura di cui è povera, e permettere che, come Petrarca e Metastasio in versi, così altri in prosa si prenda la libertà di commuoverci parlando d'amore senza offendere i costumi. Gli uomini gravi hanno bel dire; ma vi sono molte passioni più vergognose e meno importanti dell'amore, e questa esercita un troppo grande impero nella società perchè non meriti d'essere fatta studio degli osservatori. Pochi uomini sono abbastanza perfetti per essere chiamati al celibato, e per tutti gli altri l'amore è niente meno che l'artefice della felicità o dell'infelicità della loro vita. un'altra ragione milita ancora a favore dei romanzi. Certamente sarebbe molto meglio che se non gli uomini, almeno le donne non leggessero mai verun libro, tale è l'opinione di gente accreditatissima. Ma giacchè per disgrazia la scienza del bene e del male è diventata comune, giacchè anche le donne anelano al piacere di coltivare il loro intelletto collo studio, giacchè niuno senta più il vantaggio d'essere idiota, e giacchè la più parte degli stessi mariti ha la follia di trovar più amabile una moglie colta che una moglie ignorante, non è egli necessario che vi sieno libri espressamente scritti per interessare l'intelletto delle donne? Vi sono alcune eccezioni; ma in generale le donne non possono appassionarsi per la politica nè per veruno dei severi ufficj a cui si consacrano gli uomini; esse non hanno nemmeno abbastanza freddezza d'immaginazione e pertinacia di volontà per applicarsi alle scienze esatte. L'ordine delle loro idee è diverso da quello degli uomini; esso non si compone che d'affetti dolci, di cure domestiche, di rivalità femminili, d'artifizietti per piacere o per trionfare, e spesso ancora d'un entusiasmo eroico per l'amore, per le virtù private, e per la religione. Se volete che qualche lettura le diletti, o le commuova è per forza che loro diate libri ove si parli di vicende famigliari e soprattutto di figlie, di spose e di madri, e del cuore umano. La storia sarebbe eccellente per loro se vi fosse una storia, meno degl'imperi, che degli uomini, una storia in cui le scene segrete della vita fossero svelate, in cui i quadri di famiglia non fossero ommessi. Ma questa storia non esistendo fuorchè in pochi libri di biografia, non è maraviglia se le donne gustano sovra ogni altra la lettura de' romanzi, di quelli cioè dove la società è ritratta al vero, e dove il cuore umano è analizzato con più minuta esattezza.
Ma molti romanzi sono immorali…. Oh sì, ed è pericolosissimo allora di lasciarli leggere alla gioventù tanto dell'uno che dell'altro sesso; ma è lo stesso se diceste: molti poemi sono immorali, molti discorsi sono immorali; vorreste con ciò proibire tutti i poemi, tutti i discorsi? La denominazione di romanzo non è d'un senso meno vasta di quella di poema. Tanto l'una come l'altra può applicarsi ora alla più esemplare ed ora alla più scandalosa delle composizioni. Gli ingegni corrotti se non iscrivono romanzi spargono in altri libri i loro cattivi principj. Non si pericola dunque nulla all'aver romanzi anche in Italia; la nostra letteratura guadagna un genere che non possedeva, e gli scrittori di genio possono impadronirsene e nobilitarlo adoperando tutte le seduzioni di cui è capace in favore della virtù.
Era opportuna questa breve apologia del romanzo per venir a parlare della nuova produzione della signora marchesa Sacrati.
L'autrice di Giulia Willet, già nota per altri lavori letterarj, ha voluto in questo romanzo dimostrare come la virtù la più pura possa venir denigrata dalla calunnia, ma come ciò non ostante la virtù infelice c'innamori, e la perversità sebbene vittoriosa non c'ispiri che avversione e disprezzo.
Giulia è orfana ed è educata da una zia; questa odiava i parenti di Giulia, e principalmente la madre di essa, perchè dotata d'esimia bellezza. Siffatto odio avea prostrato nell'afflizione e condotto alla tomba gli oggetti che avea per mira, e ora si rovescia sull'innocente Giulia. Questa ragazza ha eredata tutta l'avvenenza di sua madre, tutto il suo ingegno, tutta la squisitezza del sentire. La zia non potrebbe in nessun modo simpatizzare con lei; ha una decisa antipatia per tutto ciò che annunzia un cuore sensitivo; ella chiama romanzesca ogni idea generosa, ogni entusiasmo per le arti o per il bello morale. Vuol deprimere la nobile alterezza di Giulia insultando ad ogni istante la memoria de' suoi parenti, e facendole credere di educarla quasi per carità. Giulia informata da un onesto avvocato delle ricchezze che a lei spettano e che l'avara zia s'è appropriate cessa di tollerare i crudeli spregi di questa, riconoscendo che di spregi solo e non di benefizj le è debitrice. La zia vuol costringerla a dar la mano di sposa a un uomo che Giulia non può amare, La ragazza è già in età di disporre di se stessa. L'onesto avvocato e altri saggi amici l'inducono a separarsi dalla zia e a intentarle una lite per farsi dare l'aver suo. Giulia nel fiore della gioventù e della bellezza, vincendo la lite, diventa posseditrice d'una brillantissima fortuna. Ella si conduce sempre co' più timidi riguardi per non attrarsi alcun biasimo. Il più virtuoso fra gli uomini che aspirano alla sua mano è quello a cui ella s'affeziona. L'infernale zia mette ostacoli a questo matrimonio, ordisce mille macchinazioni, per cui nasce un duello tra Alfonso amante riamato di Giulia e un suo rivale. Giulia vien dipinta come una civetta che lusinga parecchi amanti, ma che non ne ama nessuno. Questi sospetti giungono ad avvelenare l'animo d'Alfonso stesso. Il rivale di esso ed altre persone malevole calunniando Giulia lo costringono un'altra volta a proporre una sfida. Il padre di Alfonso allora comincia a credere che Giulia è una donna pericolosa; conduce per forza il figlio lungi da Torino (luogo della scena). Ad Alfonso separato da Giulia si fanno credere mille false relazioni, e mentre ella deperisce di dolore non ricevendo mai nessuna lettera d'Alfonso, egli la reputa infedele, e la zia di Giulia trova il modo di raffermarlo con ingegnosissime arti in questo convincimento. Giulia perde la ragione. Il tempo ha calmato la melanconia d'Alfonso; ed egli, benchè con ripugnanza, cede alle istanze del padre che gli offre un'altra sposa. Pervengono a Giulia, per mezzo della barbara zia, le notizie del matrimonio d'Alfonso. La delirante fanciulla, informata finalmente del luogo ove si trova l'ingrato suo amante, vola per impedire le nozze fatali. Giunge che i giuramenti sono già pronunziati. Una febbre mortale l'assale e la conduce alla tomba. Ella perdona morendo ad Alfonso, e benedice la sposa di lui nella quale riconosce una persona virtuosa e degna di felicità. Alfonso è inconsolabile, ma Giulia s'è fatto promettere ch'egli vivrà, e che non perseguiterà con nessuna vendetta la scellerata zia. Ma questa è bentosto punita come merita dalla pubblica esecrazione.
Questo romanzo è scritto in lettere, con naturalezza di stile e non senza eleganza; non vi sono nè conciofossecosachè nè avvegnadiochè; vi si può rimproverare qualche gallicismo non necessario, ma non però un tale abuso di gallicismi che offenda il lettore italiano.
I caratteri di Giulia e della zia ci sembrano maestrevolmente dipinti; quello dell'amante meriterebbe forse d'essere più lumeggiato; gli altri sono secondarj, ma tutti disegnati con feconda varietà e giustezza. Si vede che l'autrice ha copiato i suoi personaggi dalla società e non dai libri. Possa ella non istancarsi d'applicare il fino suo ingegno a questo genere di lavori! Le donne più degli uomini sono dotate del talento di scoprire le minime gradazioni dei caratteri e dei sentimenti; a loro sembra che spetti, se si danno a qualche ramo di letteratura, lo scrivere particolarmente romanzi; – intendo la storia naturale delle passioni segnate dal cuore umano e quella dei piccoli intrighi di società, che spesso cagionano la sventura del debole e dell'innocente, ma che sempre ridondano in obbrobrio dei malvagi e in lode dei buoni.
S.P.