NARCISA – Romanzo in quattro canti, di C. Tedaldi-Fores. – Milano, presso Batelli e Fanfani, 1818.
Molte idee false intorno al romanticismo si fanno diffondere maliziosamente in Italia da chi ha interesse a screditarlo. La più ricantata ne' crocchj, tanto dai furbi quanto dalla buona gente che si lascia abbindolare da chi ha più voce in capitolo, è che le dottrine romantiche sieno la teoria dell'assoluta mestizia e dell'orrore, e che nessun componimento poetico possa essere lodevolmente romantico se non è una vera galleria di tutte immagini lugubri, di atrocità, di spaventi, ec. ec.
Dopo la lunga professione di fede pubblicata da romantici in sei numeri consecutivi del Conciliatore (I) sarebbe un perder tempo e un far torto alla sagacità de' nostri lettori il suggerir loro le ragioni colle quali confutare codesta accusa scipita. Per quanto certi faccendieri dell'opinione pubblica, servendo al loro instituto, s'industriino di ripeterla ad ogni momento, essa nondimeno è tale che non può trovare ricapito che presso il volgo. Intendiamo per volgo i poveri d'intelletto, i poveri di buona fede, – non i poveri di borsa, – E di siffatto volgo a' romantici non cale più che tanto.
Leggendo per altro il nuovo poemetto del signor Tedaldi-Fores si potrebbe sospettare a prima giunta che anche questo ingegno non volgare abbia voluto spassarsi a spese del vero e farsi beffe del romanticismo, e che se ne sia finto seguace a bella posta per metterlo in caricatura e confermare così nella plebe la falsa opinione della tendenza di esso a tutto ciò che è orribile e ributtante. Nella Narcisa, che è un romanzo o poemetto di soli quattro brevissimi canti in terza rima, veggonsi infatti affastellate tante immagini di colore nero che può parere un mortorio perpetuo.
L'argomento del romanzo è la storia della morte di Narcisa e della sepoltura negatale a Montpellier, storia che tutti i nostri lettori avranno letto nella terza delle Notti di Odoardo Young. Ma il dolor vero per la perdita vera della figliuola della propria moglie non destò nella fantasia per altro copiosa e lugubre-monotona del poeta inglese tante immagini di squallore, tante reminiscenze orribili quante col suo dolore artificiale ne descrisse nel suo poemetto il sig. Tedaldi-Fores. – Una vergine malata e che poi muore sul nudo suolo; – un giovane amante della fanciulla che recide le chiome al cadavere e nel bujo della notte tenta con esse di farsi un capestro al collo e strozzarsi; – un padre che per la morte della figliuola dà nelle bestemmie e si morde l'un de' bracci; – un demonio che ulula intorno a quel padre e lo lorda di fuliggine e di sanguigna bava; – un cimiterio sparso di insepolto ossame bianco; – un Andrea
"Che a nutricar (sè stesso) si diè di carni umane E di uman sangue il mento e il sen si tinse;"
– un padre che porta sulle spalle il cadavere della propria figliuola a seppellire; – una fossa scavata; – un gemito che manda la terra; – un cielo che piove rossa linfa; – un cadavere smosso dalla sua sepoltura dall'acquazzone e lasciato a fior di terra involuto di fetente limo; – un giovane soldato che corre, e sbadatamente viene ad urtare in quel cadavere, e s'accorge che preme co' suoi ginocchi il fral meschino della sua donna amata, in cui
"Di sanie infetto e nel luto prostrato Passeggia il verme reo, la schifa eruca E la striscia del serpe attossicato;"
– un pugnale; – un assassinio; uno che muore (è l'amante), e muorendo cade sul cadavere dell'amata e le afferra il volto casto
"Coi denti delle rabide mascelle;"
– uno spetro; – un feretro; – un rogo; – e un fantasma in carne ed ossa che dopo d'aver narrati tutti codesti malanni al poeta che sta attento ad udirlo, lascia cadere le polpe al suolo e l'osse, e fatto nudo spirto esclama: sono Odoardo (il padre di Narcisa) e sparisce. – Queste ed altre più minute galanterie di tal fatta, raccolte insieme l'una sovra l'altra in poco spazio, formano un tutto che può davvero sembrare, come dicemmo, la caricatura poetica dell'orrore.
Ma perchè attribuiremo noi a mala fede ciò che probabilmente è stato fatto con ingenuissima intenzione? – D'altronde il romanzo del sig. Tedaldi-Fores quantunque, – secondo l'umile nostra opinione, – infelice pel concetto generale, per gli accidenti storici e per la condotta, ha nondimeno alcuni accessorj lavorati con potenza poetica non comune, ha diverse terzine lodevolissime per evidenza di stile e per verità di sentimenti; sicchè sarebbe quasi temerità il voler credere che una persona capace di giovar molto alla propria fama ed alla patria, voglia ora sprecar tempo e carta e inchiostro in servizio della malignità antiromantica. No, non lo si dee credere. Il sig. Tedaldi-Fores s'è ingannato; ma non ha voluto ingannare.
Noi ci appigliamo volentieri a quest'ultima credenza. E siccome in fatto di libri è uso nostro di manifestare senza velo la nostra opinione, qualunque sia, massimamente se crediamo di parlare a scrittori d'ingegno il di cui amor proprio non confonda i consigli della critica co' morsi dell'invidia; così diciamo con onesta sincerità all'Autore della Narcisa che l'insieme del suo romanzo non ci contenta.
Congratulandoci per altro con lui della sua deserzione dalle favole greche, lo preghiamo di voler perseverare in essa, di affratellarsi cogli argomenti desunti dalle storie nostre e dai nostri costumi, e di somministrarci presto qualche altro componimento di tema meno esagerato nella tristezza, meno affettatamente orribile, e più conveniente a' bisogni dell'Italia; affinchè possiamo dire di lui quelle piene lodi ch'egli dà indizio di dovere un di meritare; – se pure le nostre lodi sono premio a cui egli si degni di por mente.
Nè si creda che in noi sia avversione agli argomenti malinconici, alle occasioni di piangere. – Sì, vogliamo tremare e lagrimare e gemere, perchè tra i tanti diletti poetici sappiamo anche noi che è soavissimo quello della malinconia e del pianto. Ma le lagrime non sono mai figlie dell'orrore e del ribrezzo. – Vogliamo anche noi essere percossi dal terrore. Ma una serie d'idee eccessivamente luttuose e tutte temprate al monocordo, ancorchè non uscissero fuor de' confini del terribile, finirebbe coll'essere orribile, o per lo meno nojosa a' lettori. Or che sarà poi quando le immagini pendono più all'orribile che ad altro?
Bisogna però dire, a onor del vero, che nei primi esperimenti, in un genere poetico qualunque, la parsimonia non può quasi mai essere la qualità regolatrice della immaginazione del poeta. È una qualità, una abilità questa che non s'acquista che col tempo. E però la presente mancanza di essa non ci è argomento per doverla temere ripetuta ne' futuri lavori del sig. Tedaldi-Fores. Progredendo egli sempre più nello studio dell'arte e del cuore umano, e nobilitando sempre più i propri pensieri, la verseggiatura e lo stile, è da credersi ch'egli salirà a quell'altezza di perfezione poetica verso la quale ha voluto fare un passo colla sua Narcisa.
GRISOSTOMO.
(I) Idee elementari sulla Poesia Romantica.