NOVELLA - Treviso An. MDCCCXXII. Tip. Trento.
Egli ormai sembra indubitato che delle novelle tante di tutti i generi si abbia l'Italia che null'altro faccia chi di nuove ne va pur componendo che portar alberi alla selva, ed acqua al mare. Tuttavia non istimiamo che gettino il tempo que' pochi, che profondamente conoscendosi delle squisite bellezze dell'idioma italiano, prendono parcamente e a quando a quando di rinfrescare la memoria de' vecchj novellatori, e lasciate dall'un de' lati quelle loro ribalderie da trecconi e tavernieri, e soprattutto l'aperto dilegio della religione e de' suoi ministri, raccontano per dilettosa, ed efficace maniera alcuna avventura da cui si possa cavare degli utili ammaestramenti all'onesto vivere e civile. Ognuno sa l'amore per poco che non sia regolato subito trasandare, furioso tirannar il cuore e l'intelletto, onde miseramente l'uomo bruteggia come la storia di tutte le genti in tutti i tempi dimostra per copiosissimi, e troppo luttuosi esempj; e nientemanco non sarà mai detto abbastanza che l'amore in se stesso il più sacro il più giovevole il più caro di tutti gli affetti, se non si sommetta in sul nascere alla ragione è la causa prima dei mali maggiori. Perchè ottimamente ha deliberato l'Aut. (I) di questa Novella di venire narrando come Corradino amante di Despina fuggendo con lei di Damasco fu preso a' Saracini, ed essa da lui avvisata scampasse entro dalla città: colui per riaverla si fa Musulmano, ma quinci è odiato dalla donna, la quale dopo vari accidenti venutagli alle mani resta morta, ed egli altresì sbalzato da cavallo dando del capo in un macigno. Ecco che l'amore disfrenato strascina gli uomini di male in peggio sino all'ultima rovina. Commendevoli saranno sempre le novelle che istruiscono e ad un'ora dilettano pel dolce della lingua, com'è questa in cui l'Aut. non "razzolando nelle vecchie carte del trecento" i disusati e poco intesi vocaboli, ma sì francamente usando di purissima e nobile elocuzione, ch'è primo dovere d'ogni scrittore, senza che "sia piena zeppa di quelle fiorintinerie che son dimenticate nella stessa Firenze" seppe per modo comporla che si avrà loda da tutti quelli che nei veri classici studiarono con profitto la lingua. E qui ci cade in concio osservare (2) i nostri Novellieri venire sull'orme de' trecentisti piuttostochè del graziosissimo Gozzi; il quale grande maestro di bel parlare scelse a posta in questo genere i modi più popolari, il costrutto più facile, e le frasi più comuni dovendo di que' suoi scritti farsi il maggior spaccio a coloro che più in là non vedono della corteccia, e pe' quali sarebbe stato proprio lavar la testa all'asino dettarli alla maniera del Novellino, del Sacchetti, del Boccaccio ec.; non perchè fosse toccare il ciel col dito agguagliarglisi in opera di lingua, ma perchè a lui solo tra nostri fu concesso l'ingegno del greco Luciano, onde il forte de' suoi racconti è in un andare naturalmente furbesco e giojoso, e in fantasie tutte proprie che certo per istudio che uom vi faccia non si possono acquistare. Senza che quantunque bellissimo sia il suo modo di novellare non è ancora, e forse non sarà mai tanto classico quanto si è quello de' trecentisti. Per le quali cose "segua pure ciascuno la via che più gli piace" ma non si dolga a quelli che per altra sen vanno seguendo le antiche autorità e l'esempio dei più applauditi Scrittori viventi.
(I) Dalla Relazione di parte dei lavori fatti durante il corso dell'anno accademico 1816-1817 del sig. F. Amalteo Seg. per le Scienze. (Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso. Vol. II. facc. XLIV.) si sa essere il sig. ab. Guecello Tempesta Maestro nel Seminario di Treviso.
(2) Vedi Relazione citata facc. XLV.
E. I.