Novelle di Diodata SALUZZO ROERO. – Milano, 1830, per Vincenzo Ferrario. Un volume in 8.° piccolo, di pag. 366.
Queste novelle appena uscite in luce vennero con lode annunziate da alcuni giornali, e se a ricordarle ora altro motivo per noi non rimanesse che quello di ripetere le altrui lodi, pur non lasceremmo di farlo per la stima che ben si deve alla chiarissima autrice. Crediamo poi tanto più di poterlo fare in quanto ne sembra che, separatamente da quelle lodi, vi sia a dir qualche cosa intorno alla scelta de' soggetti ed al genere del componimento a cui la signora Saluzzo volle drizzare il nervo del suo ingegno; né pensiamo con ciò detrarre alle lodi ch'ella ottenne, poiché que' giornali non si occuparono di tale argomento.
Ben sappiamo che qualche acerbo spirito non ha mancato di chiamare la pubblicazione di queste novelle un'altra sfortunata incursione del romanticismo vestito da novelliero ne' campi del Bello, e guidato dalla Pantasilea dei Romantici; ma è nostra opinione che il vero non si abbia mai ad avvolgere nel manto del ridicolo, là ove ciò non può farsi senza mancare ai più delicati riguardi della cortesia sociale. La signora Saluzzo, colla letteraria riputazione che si è procacciata, onora come donna il suo sesso, e chi al pari di lei ha lodevolmente adempiute le speranze date fin sui primi albori di una lunga giornata, merita venerazione, quantunque possa aver sull'ultimo inciampato, men per difetto d'ingegno che per errore di giudizio.
È mania de' nostri giorni l'andar razzolando fra le macerie de' secoli barbari e le desolate torri dell'abbattuto feudalismo per cercarvi argomenti da cantarsi al secolo della civiltà e della moderazione: e, per colmo di stravaganza, di ciò si fanno promotori quegli stessi che pur vantando liberi sensi e nobiltà di pensamenti pare abbiano giurato di far rivivere que' tempi di oppressione e di avvilimento, coll'abbellirne a tutto studio l'immagine ed avvezzarvi le menti del popolo. Ogni opera dell'uomo, se non è fuor di cervello, debb'avere uno scopo, ed alcun altro ragionevole non ne potrebbero que' tali a loro difesa addurre, se non di crescere negli animi l'abborrimento di que' tempi, col presentarne una viva pittura. Ma noi risponderemmo che miglior senno sarebbe il non parlarne affatto, per non dar luce ad epoche che sono nell'universale o ignorate o malnote, o meriterebbero di essere ad un perpetuo obblio condannate onde non si faccia nuovo insulto colla rimembranza di esse ai diritti di quell'umanità che sì a lungo impunemente oltraggiarono. Senza di che nel modo ch'essi tengono per giugnere a questo lor preteso intendimento, non sono dissimili da colui che per accertarsi della purità d'un giovinetto gli parlasse di peccati che forse non conosce, o che per ispirargli l'orrore della dissolutezza, gliela rappresentasse sotto le sembianze di una Venere, adorna di tutti que' prestigi che più possono snervar l'animo e lusingare i sensi.
La signora Saluzzo, bramosa di fare una prova del suo ingegno ha scosso polverose cronache e tarlate pergamene onde cantare strani casi d'amore ed oscuri o infami delitti di prepotenti castellani. Tali sono, tranne la morte di Eva, gli argomenti delle novelle scritte dalla nobil donna: ma perché andar cercando tempi e costumi sì dai nostri differenti, e privi perciò di quell'interesse che in tutte le opere del Bello è indispensabile requisito? Che direste d'un architetto che si affaccendasse in raccogliere le sparse rovine di qualche gotico edifizio, e costruitone un ammasso qualunque a' vostri sguardi con compiacenza lo additasse? Eppure se parlare alla mente si potesse con tanta evidenza come agli occhi si parla, non parrebbe di questa men grande la stranezza di que' cercatori di barbare anticaglie. È il medio evo un caos in cui gli elementi di un mondo sconvolto vanno tra loro orrendamente lottando e rilottando, finché ne esce un mondo novello, ordinato a gentilezza di costumi, a dignità di vivere, a santità di leggi, a verità di sapere. Perché dunque aggirarsi in quell'antica confusione per ritrarne con tanta sollecitudine tetre sembianze e contraffatte figure? Che cosa direste di colui che, messo il piede in un campo il quale già tempo servì di cimitero, e che poi, ridotto a coltura, rigoglioso di biade or fiorisce, andasse ne' pingui solchi rovistando per disotterrarne cranj ed ossa umane, avanzi nefandi di sepolta strage? Cessi dunque, se pur giova sperarlo, cessi finalmente cotesta smania di vaneggiare in un tenebroso passato, e facciano gl'ingegni un miglior uso di lor forze eleggendosi più degni argomenti,
Che non son fole antiche e vani amori.
E se a questo voto è lecito aggiungerne un altro, cessi ad un tempo quello sciagurato novellare che altro non sapendo fuorché gonfiar di chimere gli oziosi cervelli, strascina però gli animi ai più funesti traviamenti coll'alterarne il sentire e coll'educargli alla sfrenatezza delle passioni.
Che se dovessimo far da ultimo un cenno del modo onde la signora Saluzzo ha trattato le sue novelle, noi diremmo, senza però mai fraudare a quell'alta opinione che del suo merito abbiamo, essere elleno quanto allo stile, sì nella prosa che nel verso, mancanti di scorrevolezza e di quella nobile facilità che al bello scrivere si vogliono, e quanto all'invenzione ed alla condotta essere destituite d'interesse drammatico, di azione e di caratteri, e, quel ch'è peggio, di verisimiglianza. Saremo però solleciti di eccettuare l'Isabella Losa ed anche la Gaspara Stampa, le quali ne sembrano non indegne della nobile autrice: e conchiuderemo osservando ch'ella ha colle sue novelle dato un nuovo esempio che anche ad un buon ingegno, quando entri in cattiva strada, è forza smarrirsi.