Oriele, o Lettere di due amanti, pubblicate da Defendente Sacchi. – Pavia, tipografia di Pietro Bizzoni.
L'amore è una passione sì comunemente sentita, che da sè sola non basta ad interessarci per chi la sostiene, giacchè gli uomini non sogliono nè compiangere, nè ammirare quelle cose che hanno ogni giorno sott'occhio. Egli è perciò che dei cento romanzi i novanta almeno ti agghiacciano il cuore mentre favellano di focosi sospiri: perocchè molti scrittori possono saper fingere un protagonista innamorato, ma pochi sono capaci d'infondervi una qualche passione più generosa e più maschia che traendoci a venerarlo siccome uomo diverso dall'universale, ci renda care le sue passioni e le sue sventure. – Pare che così la pensasse anche il sig. Sacchi, poichè studiossi di dare al suo Evardo un'anima più passionata delle ordinarie, a di farlo apparire non men sollecito della patria e della gloria, che innamorato di Oriele. Ma queste due passioni della patria e della gloria non si possono attribuire a qualsiasi personaggio introdotto in un romanzo, non ponno essere esagerate a volontà dello scrittore, e guai se in ciò le parole sono soverchie all'idea che il leggitore si forma del protagonista. Guai se vi sospetta qualche fine particolare ed interessato dello scrittore. Cessa allora tutta l'illusione del romanzo e il cuore del leggitore si raffredda per dar luogo alla ragione che ne giudica e pesa le parole non più come espressioni di un uomo appassionato, ma come il vero pensare dell'autore. E questo Evardo quale opinione ci desta di sè? Egli è giovine assai: da pochi anni vive in Italia, e quivi è innamorato, geloso, e geloso pazzamente. Vero è che parla frequente di patria, ma noi osiamo dire che secondo giovane fuggitivo a cui lo vicende politiche tolsero la patria e i parenti, e secondo eroe di romanzo, egli è in questo proposito assai freddo. Parla egli mai di suo padre? Resta dunque in Evardo principale a diremmo quasi unica passione l'amore di Oriele, val quanto dire, vi resta una passione che ha mestieri di un grado ben eminente di forza o di gentilezza per acquistarsi l'attenzione de' leggitori. A voler conchiudere se questi caratteri si trovino nell'amore di Evardo bisognerebbe considerarne a parte a parte il nascimento e i progressi: ma perchè ciò n'è tolto dalla brevità di un articolo, ci accontenteremo in generale di osservare che dove gli effetti possan parere sproporzionati alla forza della passione, anzi che moverci a compatimento, ci fan parer vile colui che non sa sostenerle da uomo: e che quando non vuolsi evitare il brutto esempio d'un suicidio bisogna almeno farlo nascere da uns passione che in qualche maniera lo valga. Ma Evardo non ti ha parlato ancora di patria, non ti ha dato ancora indizio di animo forte, di veementi passioni, e propone di volersi uccidere per ciò solo che non si tiene amato da Oriele. È questa dunque una tale sventura che obblighi il lettore a perdonargli un sì disperato proponimento? Del resto non era da presumere sì facilmente che molti possan durare per 550 pagine ad esser commossi da un racconto amoroso, e noi crediamo di poter asserire che neppur l'autore ebbe l'animo capace di sì lunga passione, onde talvolta si curò celarne collo studio delle parole il difetto, e non di rado esce in digressioni troppo lontane dall'argomento e troppo fredde per essere poste in bocca di un eroe da romanzo. Del primo caso servono di esempio le lettere X e XIX nelle quali Evardo ringrazia Oriele di avergli scritto che lo ama, e parla del primo bacio con queste parole veramente fredde e puerili: Celeste Oriele, anima impareggiabile, asilo delle grazie, ara, trono, sede d'amore… Ah Oriele, amabile, tenera, divina Oriele... Oh divina potenza d'amore, oh Dio scuotitor dell'universo, ed è possibile consenti ai mortali tanto bene sulla terra? Ed oseranno ancora questi stolti invidiare la sorte dei numi? Ed in quanto poi alle digressioni rimettiamo il leggitore alla lettera XXXIX dove si parla di matrimonio; alla XLVI che ci parve una debole imitazione dell'ode a Silvia di Parini; e più ancora alla XVI della parte seconda ove il nostro protagonista volendo toccare la questione attuale della lingua, propone un amfizionato di tutti i letterati d'Italia onde intendere all'importante lavoro, e soggiunge poi: Accadrebbero de' gran rumori, ma intanto la faccenda andrebbe alla fine: si strapazzino pure, e se la capita, rinnovino anche la guerra de' breviarj col sunto codice della lingua, che già in fine non resterebbe morto nessuno e si verrebbe a capo di qualche cosa: l'indegnità delle quali parole a mille doppi s'accresce veggendole vicine ai nomi di que' due chiarissimi ingegni che con sommo amore e sapere s'adoperano al perfezionamento dell'italiana favella. Se non che questo giovane si piace anche altrove di morder la fama dei dotti, e fa, al parer nostro, vera scortesia, dopo averne qua e là nominati alcuni da lui conosciuti in Milano, il dire che nessun letterato di questa città fa olocausto del cuore alle virtù morali. – Per ultimo resterebbe a parlare dello stile, e noteremmo di buona voglia alcuni difetti se non temessimo di sentirci all'orecchio que' versi:
…. Frate, tu vai
Mostrando altrui la via dove sovente
Fosti smarrito, ed or se' più che mai.