Condiscendenza del Conciliatore.
Il Conciliatore entrò l'altro dì nel gabinetto d'una gentile signora dalla quale — a dispetto non già del marito, ma d'una vecchia zia ex-priora d'un ex-confraternita - è accolto sempre con molta bontà. Nessuno staffiere lo aveva preceduto per annunziarlo a Madama, da che in favor del Conciliatore ella ha derogato da un pezzo a siffatta etichetta.
Ma chi è Madama? — È una cara angioletta terrena, perspicace d'intelletto, d'indole meditativa — ma non malinconica; fu educata fuori d'Italia; legge molto; pensa moltissimo; parla con temperanza, e a ciò ch'ella dice non cura mai che facciano da stampelle i detti altrui. Ama la letteratura; ma nol sanno che i di lei amici più intimi; coi letterati di mestiere è taciturna; a mensa ed in teatro è donna d'amena conversazione, e non altro. La fortuna — o piuttosto il giudizio de' parenti — le ha conceduto un marito degno di lei. Non è stra-ricco; ma ha tanto che basta per poter gustare intemerata tutta la voluttà dell'indipendenza. È uomo che cederebbe metà del patrimonio e del sangue a pro della patria, e non ispenderebbe metà d'un minuto a pro d'un desiderio ambizioso. Non protegge, e non vuole essere protetto; però lo vedi portare alta la fronte e schietta la guardatura. È fino conoscitore del bello fisico e del bello morale; e ne diede una prova quando si scelse la sposa. Ha una mente sempre in accordo colla coscienza; il che lo fa parer tenace delle proprie opinioni. Tuttavia le discute volentieri con altri; e con chi ragiona è pieghevolissimo. Ma per potere entrare in discorso con lui bisogna aver fama e faccia di galantuomo. Se lo interrogano persone appena appena di dubbia morale, non c'è caso ch'egli si degni di rispondere. Ingiuriato anche da esse, calunniato....., lascia dire e non bada.
Era scritto — chi sa da quanti mila anni? — che il Conciliatore dovesse diventare amico del marito e della moglie. Egli non si ricorda quale sia per lui la più vecchia di queste due amicizie; ma può giurare che sono entrambe amicizie vere, fondate sulla stima, senza secondi fini, e rispettose molto molto..., che che ne vada dicendo qua e là la poco caritatevole ex-priora.
Madama sedeva dunque l'altro dì mezzo-sdrajata in una duchesse elegantissima. Colla destra, che si riposava sopra un tavolino d'ebano lisciato a maraviglia, ella custodiva uno scritto; aveva nella sinistra un libretto, e lo leggeva attentamente. Non s'era accorta che lo stropiccio d'un piede virile aveva attraversato due sale venendo a lei; né s'accorse tampoco che una voce — sommessa è vero, ma pur sempre virile — rompeva allora il silenzio del gabinetto. Due volte il Conciliatore le fece riverenza; e due volte dovè trangugiarsi la mortificazione di non essere risalutato. Sapeva egli di non meritare questo gastigo con cui si sogliono punire gli sguajati; però alzata alcun che più la propria voce, fece il terzo saluto. Allora Madama si riscosse, levò gli occhi, e vedutolo: Giungete in buon punto, amico mio; — e gli sorrise incontro un sorriso così festevole che il Conciliatore non ebbe neppur cuore d'avvertirla ch'egli giungeva da un pezzo.
CONCILIATORE.
Madama, ell'è occupata....Non le vorrei dare disagio....Tornerò ad ora più comoda.
MADAMA.
Oibò! Pigliatevi anzi quella seggiola: accostatela al tavolino....qui...qui...accanto a me. Aveva io animo di farvi chiamare, se non foste venuto oggi. Ho bisogno di voi, d'un favor vostro.
CONCILIATORE.
Sarò ben fortunato di poterla obbedire.
MADAMA.
La Saffo del sig. Grillparzer l'avete voi ricevuta finalmente?
CONCILIATORE.
Sono mesi e mesi che questi benedetti libraj me la fanno sospirare, e mi deludono sempre.
MADAMA.
L'ho ricevuta io.
CONCILIATORE.
Oh! me la presti di grazia per qualche giorno. È conveniente ch'io ne faccia un articolo. È una tragedia tanto rinomata; ha fatto tanto furore che non è decoroso per me il tacerne.
MADAMA.
Tanto furore....? Sì, è vero, in una parte della Germania; ma fuori di là i Giornali tedeschi e que' di Francia —quasi tutti — si sono stupiti meno della tragedia che dell'entusiasmo con cui fuor d'ogni uso la videro applaudita.
CONCILIATORE.
Ad ogni modo è necessario ch'io la legga. Ho un presentimento che questa Saffo abbia ad essere una bella cosa.
MADAMA.
Sì sì, la leggerete. — Custodite il vostro presentimento per un giorno ancora, se lo potete; e domani ve la presterò. Ma l'articolo pel vostro Giornale è già bell'e fatto; e voi dovete esser gentile e stamparlo subito.
CONCILIATORE.
Fatto? E da chi? — Io, io l'ho a scrivere; — questa volta non mi fido di nessuno.
MADAMA.
Vi fidereste voi di me? Vi contentereste....?
CONCILIATORE.
Che vuol dire questo, Madama? Io non l'intendo.
MADAMA.
Alle corte. Si tratta d'una tragedia che ha per argomento l'amore, e per protagonista una donna; e una donna — che c'è di male? — può ben farne l'articolo. È il primo scritto che mando al pubblico, ed il primo favore di cui oso pregarvi." —
Il povero Conciliatore non sapeva che rispondere. Non gli parea vero che Madama tanto ritenuta nel parlare di letteratura, fosse tutt'ad un tratto diventata così corriva da voler saltare in piazza con un articolo. D'altronde sulla fede di molti che gli avevano raccontato miracoli della Saffo del signor Grillparzer, egli venerava, senza conoscerlo, questo poeta miracoloso; e gli pareva mill'anni di poterne anch'egli dir bene. Però gli pesava di dover cedere ad altri questo incarico, e cederlo ad una donna la quale nell'eseguirlo non ci avrebbe messa forse tutta quella serietà che vi si voleva. Ma il povero Conciliatore non ha ancor la barba grigia. — Come mai dire di no ad una bella signora?
Madama indovinò senza stento l'impaccio in cui trovavasi la mente del Conciliatore; e prima che vi pigliassero piede e crescessero gli scrupoli, pensò di distruggerli affatto con un sol colpo. Ella stese una manina candida candida verso l'una delle mani del Conciliatore. Questi senza intenzione allungò la sua; — sentì stringere — e strinse.
MADAMA.
Non volete dunque usarmi una gentilezza? Avete forse paura ch'io sia donna capace di farvi poi pentire d'essere stato cortese con me? Avete paura forse ch'io vi paghi la bontà vostra con uno sgarbo.....—?
CONCILIATORE.
Oh! bizzarrie così villane io non le so prevedere mai in chicchessia, e mi colgono sempre all'improvviso. Ella poi per esserne capace un sol momento avrebbe bisogno di morire e rinascere con tutt'altra anima.
MADAMA.
Ditemi dunque un bel sì. Ve ne ringrazierò tanto tanto.... Già s'intende che sotto l'articolo metterò abbreviato il nome mio; così di questa inezia sarò risponsale io sola, e voi non perderete di credito. Direte anzi al pubblico che io stessa vi ho pregato di accettare un mio scritto, e ch'egli può pigliarsela con me se non gli garbano le mie opinioni. L'insolenza critica non mi spaventa. Quando gli uomini saranno tutti ribaldi a un modo ella non avrà più dove mordere, e tacerà. Intanto è troppo naturale ch'ella morda… Sicché, da bravo! siate compiacente." — Però a onore della urbanità la condiscendenza del Conciliatore fu così piena che in capo a due minuti, Madama non pregava più, ma comandava.
MADAMA.
"L'articolo non è ricopiato ancora. Eccovi penna e carta...Scrivete; ve lo detterò."
— Madama dettava; il Conciliatore scriveva, e scrivendo non cambiava una sillaba: perché tali erano gli ordini precisi che Madama aveva intimati al suo amanuense.
"SAPPHO — Traverspiel, ec., ec., — Saffo — Tragedia in cinque atti — di Francesco Grillparzer. — Vienna 1819, presso G. B. Walishausser.
Avrebbe poca sincerità chi negasse al signor Grillparzer il merito d'una fluidità di stile tratto tratto elegante, d'una verseggiatura spontanea e sovente dignitosa. Io femminetta italiana non presumo di poter lodare degnamente per questo lato il lavoro d'un poeta tedesco. Ho coscienza nondimeno d'intendere sufficientemente la lingua del signor Grillparzer, e di poter sentire sufficientemente, se non tutte, almeno una gran parte delle bellezze esteriori de' suoi versi. Egli pecca, è vero, di loquacità; non di rado ripete sotto diverse frasi le stesse idee, si strascina lento nelle transizioni, ed in qualche momento dà nel plebeo. Tuttavolta egli sa compensare con frequenti modi fioriti e con una facile armonia il languore della prolissità. Valga il vero, colla sua Saffo il signor Grillparzer si mostra in generale buon verseggiatore.
Ma sarebbe dotato di scarso sentimento poetico chi dicesse a lui: "fu la più felice delle ispirazioni quella che vi suggerì di scegliere a dì nostri per una tragedia l'argomento che avete scelto." — Non vedeva egli forse il sig. Grillparzer nella poesia uno scopo civile? Non sentiva egli che il tenere a bada a dì nostri gli spettatori colla gloria poetica e colla passione amorosa d'una donna greca, è lo stesso che addormentarli bel bello nel mondo presente in una infruttuosa apatia? Non aveva egli glorie patrie da celebrare? Non aveva egli un pubblico a cui poter dire: "ecco le virtù ed i delitti de' vostri avi; traetene lezioni?" Il sommo interesse poetico non era forse per lui essenzialmente congiunto al sommo interesse morale? E il sommo interesse morale d'ogni popolo è forse la dimenticanza di se stesso?
Il sig. Grillparzer, non v'è dubbio, è uomo di molto ingegno; giova dunque credere ch'egli abbia avute le sue buone ragioni per iscostarsi dai luminosi esempi di altri valentissimi poeti tedeschi, scegliendo ad argomento della sua tragedia una storia poco efficace. Rispettiamole queste buone ragioni, senza intrometterci a indovinarle. — Ricordiamoci per altro che ad ogni modo l'argomento trattato da lui è sempre preferibile ai soggetti mitologici. Se non è storia moderna la storia di Saffo, se non è legata colle cose dell' Europa presente come gli avvenimenti de' nostri progenitori: è pur sempre storia e tradizione d' avvenimenti tutti umani. Le allusioni alla mitologia che trovansi nel componimento del sig. Grillparzer, non sono altro che espressioni naturali delle opinioni de' Greci che credevano in essa; come le opinioni Musulmane nel Maometto di Voltaire non sono altro che pitture delle idee de' seguaci dell'Alcorano.
Fra le tragedie del nostro Alfieri la mia prediletta è il Filippo; e nondimeno leggo non mal volentieri anche l'Antigone. Il Goetz di Berlichingen, il conte d'Egmont sono per me i capi d'opera del teatro del sig. Goethe: e nondimeno leggo non mal volentieri anche la sua Ifigenia. Ho letto dunque la Saffo con quella disposizione d'animo con cui leggo l'Antigone e l'Ifigenia. Non aspettando un effetto immediato dalla bontà del soggetto, ho lasciato l'anima mia esposta tutta alle impressioni che vi avrebbe potuto fare la bontà dell'arte poetica. Mi sono abbandonata ingenuamente a discrezione del sig. Grillparzer; e non è, oso credere, colpa mia se il sig. Grillparzer buon parlatore, mellifluo ed armonioso, quando si venne a' fatti parve far meco la figura d'un collegiale. — In simili occasioni l'Alfieri ed il Goethe furono ben più destri di lui a prevalersi della mia docilità.
Ecco a che si restringa tutta l'azione della tragedia, per altro poco laconica, del sig. Grillparzer.
Saffo, ottenuta la corona poetica in Olimpia, torna ad un suo podere in Lesbo. I servi, le ancelle, i villani la festeggiano. Ella dall'alto del carro trionfale fa i suoi ringraziamenti, dicendo ai villani — non so con quanta sincerità — che la corona poetica le è cara per amor loro. Presenta poscia alla brigata il giovine Faone di cui tesse le lodi; narra che n'è innamorata; e licenzia la turba, facendole dare dentro in casa da mangiare e da bere (Speis und Trank).
Questo Faone aveva udito celebrar tanto la poetessa Saffo che, senza averla mai veduta, se n'era invaghito fantasticamente. Era corso in Olimpia per conoscerla; ed ivi accolto bene da lei, le si era buttato in braccio a corpo perduto. Venuto ora in Lesbo coll'amica, il ragazzotto ha un certo contegno da far sospettare ch'ei ne sia già quasi mezzo nojato. Saffo ha voglia di sentirsi cajoler; e il ragazzotto risponde ch'egli è un povero diavolo, e che non sa capire com'ella si degni di amarlo: tuttavolta le protesta ampollosamente una gran venerazione; e per dirle qualche cosa di tenero, le racconta le circostanze dell'accoglimento fattogli da lei medesima in Olimpia, — circostanze ch'ella, secondo il costume degli innamorati, aveva sicuramente dimenticate. — Saffo gli rammenta in risposta altre particolarità; gli usa un mondo di gentilezze; e con quella cortesia solita degli ospiti gli dice di lasciar le cerimonie e di far conto d'essere come in casa propria (Du stehest in deinem Hause). Poi ella chiama i servi, e comanda loro di obbedire in tutto e per tutto a Faone. Eccolo dunque diventato padrone di casa; però egli va pei fatti suoi.
Saffo, a dir vero, non è troppo contenta, e sfoga le sue pene cantando un inno. — È da notarsi in favore del sig. Grillparzer che quest'inno è una opportuna e veramente bella traduzione dal Greco dell'Inno a Venere, famosissimo componimento della Poetessa di Mitilene. —
Schiava di Saffo è una certa Melitta, giovinetta di sedici anni. Costei rapita in età di tre anni da' corsari, era stata portata in Lesbo e venduta a Saffo. Dove la rapissero è ignoto. Ella stessa la fanciulla non sa il nome del suo paese natale; ma sa per altro che i fiori e gli alberi della sua patria erano diversi assai dai fiori e dagli alberi di Lesbo. — Se chi non ha memoria per conservare il nome della patria, possa averla bastante per ritenere le osservazioni botaniche fatte in culla, io nol so; e me ne rimetto a' sapienti.
— Faone che non è uomo di gran proposito, ma piuttosto nullo, adocchia questa Melitta nel momento, ch'ella solitaria si duole della schiavitù, la quale, quantunque mite pei buoni trattamenti della sua padrona, è pur sempre schiavitù. Egli tende l'orecchio, ed ode lei sospirare almeno almeno un qualche amico, giacché ha la disgrazia di non conoscere i proprj parenti. Faone le offre dunque generosamente se stesso; e qui ha luogo una scena di sentimentalismo, secondo me, non greco — ma svizzero. Egli piglia una rosa e la ripone nel bel seno della fanciulla; poi le domanda in contraccambio un qualche regaletto — Melitta: "Regali, io? io che sono sì povera? Faone: "La vanità e la superbia regalano oro; l'amicizia e l'amore regalano fiori." — Quand'è così, Melitta pensa a coglierne di propria mano uno che sia fresco. Ella gira l'occhio; non vede che una sola rosa su in alto in cima a un rosajo; sale sovra il sedile erboso accanto al rosajo; eretta sulla punta de' piedi s'industria di arrivare il ramo su cui fiorisce la rosa; vacilla e cade — ahimè! dove? — addosso a Faone che petulante se la stringe al seno e le fa un bacio sulla bocca. — Il destino maledetto vuole che allora appunto sopraggiunga Saffo, la quale per altro soffoca le smanie e per quel momento dissimula.
Ma in seguito, cioè in altra scena, la gelosia di lei sale a poco a poco al furore. Ella si fa venire innanzi Melitta; la sgrida perché la vede vestita in gala; le fa strappar dal capo la corona di rose; le vuole strappar dal seno la rosa ond'è ornata e che Melitta custodisce con ambe le mani, perché è il caro regaletto di Faone. Saffo s'arrabbia vieppiù; e cavato un pugnale le minaccia la vita. Fortuna è per la ragazza che in quel punto giunga Faone. — Le furie di Saffo hanno intenerita la buona Melitta; eccola mettersi a' piedi della padrona, e consegnarle ella stessa volontaria la rosa CONTRASTATA. Ma Faone con un colpo ardito la toglie di mano ad entrambe; sicché per questa volta la sola povera rosa ha fine tragico.
Venuta la notte, Saffo comanda allo schiavo Rannete di condur tosto la rivale in paese lontano, a Chio. Intanto che lo schiavo fa il dover suo; ecco comparire Faone che, udito il disegno barbaro di Rannete, pensa di prevalersi egli della barca approntata, e di fuggir con Melitta. Questa fa la ritrosa. Lo schiavo fa le sue rimostranze in contrario. E Faone sfodera un coltello e gli comanda di seguitarlo, ma solamente fino al lido. Giunti infatti alla spiaggia, Rannete resta in libertà; e così ha campo di correre a casa e suscitar gente contra i fuggitivi. — Un uomo di giudizio vedendo l'opposizione di Rannete, e il pericolo che poteva nascere dal suo gridare, lo avrebbe strascinato seco nella barca. Ma il poeta aveva bisogno di tirare in lungo la sua tragedia; un mauvais plaisant direbbe che lo pagavano a un tanto il verso. —
Alle grida di Rannete si leva a romore tutto il podere. I fuggitivi sono raggiunti e ricondotti a Saffo. Melitta ha la testa mezzo rotta da un colpo di remo. Faone è disarmato; ma minaccia pugni e scappellotti a chiunque metterà mano su Melitta (Zu ihrem Schutz wird diese Faust zur Keule); minaccia di citar Saffo innanzi ai tribunali; dice che è uomo libero e che nessuno ha diritto di arrestarlo (intorno a ciò sarà bene che gli spettatori e i lettori consultino la Costituzione di Lesbo); rompe la folla; corre verso di Saffo; le offre il prezzo pel riscatto della schiava, e se non è ricco egli, ha pure parenti ed amici che faranno una colletta e gli somministreranno danari a sufficienza. Saffo ricusa di ascoltarlo e si compone a dignità ed a silenzio. Faone prega, ingiuria, strappazza, delira; e finalmente a imitazione della buona Melitta s'inginocchia. Saffo è quasi commossa; ma da uno sguardo agli inginocchiati — e va via. Dopo un pezzo che Rannete e Faone hanno quistionato tra di loro sui meriti poetici di Saffo e sulla crudeltà dell'animo di lei, ella ritorna vestita riccamente, coll'alloro in fronte, la lira in mano, ec. ec. La poetessa intima a Faone di non toccarla, poiché ella è sacra agli Dei; fa lungamente orazione; unisce in matrimonio Faone a Melitta; e salita su d'una rupe si precipita in mare. Così mediante la morte Saffo si ricongiunge agli Dei a' quali ella apparteneva più che agli uomini, ed espia il fallo d'essersi traviata in passioni terrene.
Le unità di tempo e di luogo prescritte dalla scuola francese sono osservate nella Saffo con con un rigore edificante. La scena è all'aria aperta; e fra le altre cose vi vedi un sedile erboso su cui l'un dopo l'altro i principali personaggi della tragedia si riposano o meditando colla testa in mano, o dormendo. Faone anch'egli vi fa un bel sonno saporito allorché ha l'anima convulsa pel bacio dato a Melitta e per la rabbia che Saffo sia sopraggiunta ad interrompere quella sua effusione di sentimentalismo.
Le poche memorie storiche che noi abbiamo delle sventure amorose di Saffo lasciavano una gran libertà all'invenzione. Se il poeta se ne sia giovato felicemente, lo diranno i lettori. A me basta il confessare che trattandosi non d'un IDILLIO — ma d'una TRAGEDIA, io mi aspettava da lui qualche cosa di meno frigido.
Non affetto letteratura; non so di teorie drammatiche; parlo secondo le mie sensazioni, e nulla più. Però — e non se n'offenda il sig. Grillparzer — oso porre anche in dubbio se i furori e gli atti iracondi e vendicativi della gelosia di Saffo possano per se stessi essere belli poeticamente. Nell'animo mascolino la passione gelosa, anche furibonda ed accompagnata da azioni violenti, altro non fa che esaltare le qualità caratteristiche di esso, senza però distruggerle. Ma nella donna il carattere morale componendosi di elementi tutti più dilicati, riesce dagli atti iracondi e vendicativi piuttosto distrutto che innalzato all'ideale della gelosia femminina. Ora io sento in me qualche cosa che mi dice non essere poetici quegli accidenti d'una passione umana che spengono affatto i tratti principali con cui la natura distinse moralmente l'uno dall'altro i due sessi.
La più completa delle storie poetiche della gelosia furibonda noi la dobbiamo a Shakespear. Ma Shakespear non solamente sentì la necessità di presentarcela in un carattere non femmineo, ma virile; che anzi profittando d'un errore popolare confermato già nell'informe Novella italiana, trasmutò in un Moro dell'Africa un Greco della Morea. E per tal modo venne a giovarsi delle particolarità del carattere Africano onde rendere più verisimile l'ideale ch'egli aveva concepito della gelosia mascolina.
L'Africano Otello non perde mai il carattere dignitoso di uomo. Ma i furori gelosi di Saffo mi sanno o del ridicolo o dell'impudente. E la donna che è ridicola od impudente, o che piglia maniere tutte virili, mi sembra più un mostro che un ente suscettibile d'interesse poetico.
D'altronde qui Saffo fino dal bel principio della tragedia confessa che Faone non è per lei il primo amore, e ch'ella n'ha già provati degli altri. Forse in pratica giù dal palco questi secondi o terzi amori saranno una bella cosa, — io non me ne intendo; ma in poesia arrischiano di produrre un effetto prosaico e di parere poco gentili.
Mi sia lecito il dirlo candidamente, la Saffo della tragedia del sig. Grillparzer è per me poetica ed interessante allora soltanto che nel primo atto ella esprime il dolore della perduta gioventù, e pensando al destino ridente del giovinetto Faone tutto pieno di confidenza nella vita, ne fa confronto colla reminiscenza dei mali ch'ella ha già sofferti e coll'avvenire che a lei si presenta vuoto di speranze, — e poi nel quinto atto quando ella si fa taciturna, e quando spicca il salto e s'annega.
A. P. Go….i