Sibilla Odaleta. Episodio delle guerre d'Italia alla fine del secolo XV. Romanzo istorico di un Italiano ecc. — Milano, 1827, presso Ant. Fortunato Stella e figli. Due volumi in 18.°, di 664 pagine, con una stampa incisa in rame. Prezzo lire cinque italiane.
Nel momento che sopra un romanzo, a cui dà giustamente un grande sostegno la ben meritata fama dell'illustre suo autore, si è per ogni banda assordati da cento dicerie, diverse tra esse, e sovente ancora contraddittorie, ecco apparirne tacitamente uno avviluppato in modesto velo; non preconizzato, non predicato, non fatto ancora suggetto di diffuso giudizio: la Sibilla Odaleta.
La giusta dimenticanza in che caddero in breve tra noi i Romanzi del Chiari, stati pure per parecchi anni letti furiosamente da ogni classe di persone; e la voga che intanto aveano presa i Romanzi francesi e inglesi, facevano spesso domandare perchè mai tanto stentassero gl'ingegni italiani a muovere verso questo genere di letteratura. Nel secolo XVII se n'erano scritti d'eroici con tutta la esagerazione propria di quel tempo; e basta ricordare il famoso Caloandro fedele e la Rosalinda. Nel secolo antecedente se n'erano scritti anche di più in versi, dai pedanti decorati dal nobil titolo di poemi. Di questa, o di quella maniera non ne voleasi più: il buon senso d'accordo col buon gusto le riprovava entrambe. La crescente civiltà chiedeva adunque un genere più conveniente al bisogno della nazione e del tempo; più vicini ai loro lettori nel carattere e nelle opere i personaggi, onde la istruzione unita al diletto fosse più estesamente applicabile, e più moderata la sorpresa onde più agevolmente creare la persuasione. Non è a dire, se due o tre Romanzi di carattere certamente nuovo, nè senza merito, in mezzo alla pubblica aspettazione comparsi, avessero potuto aprire la via ad una nobile emulazione. Ma forse all'improvviso dalle montagne dell'antica Caledonia un ardito ingegno, che pieno de' patrii casi con una immaginazione inesauribile, ed una eloquenza uguale alla immaginazione, sforzò imperiosamente la colta Europa ad arrestarsi innanzi alla violenta rappresentazione, che in mille diverse maniere egli le affacciò di paesi, d'uomini, di fatti, barbari tutti quanto barbara era per lo più la età in cui figuravano. Tramezzò poi l'orrore de' suoi quadri con qualche contrapposto atto a temperare momentaneamente il ribrezzo: e giustificò l'attentato di sì penosi concetti coll'autorità della storia. La novità di un tale complesso di cose ha sedotta la moltitudine in ogni paese. Ma gli rimane il peso di un miracolo più difficile: quello di tener fermi nell'affetto eccitato gli Europei meridionali. Le forti sensazioni possono per un istante essere grate; ma prolungate stancano; e la natura si vendica dell'abuso.
Checchè sia per essere della fortuna di questo genere, pare che il Genio italiano siasi sdegnato dell'altera baldanza del Romanziere caledone; e che preso dal sentimento delle proprie forze siasi rammentato come la natura e gli animali del suo paese offrono e luoghi, e uomini, e fatti potenti a fermar l'attenzione quanto mai vogliasi, a smovere ogni sorta di affetti, ed a mostrare a chi vive oggi i beneficii della presente età, e i sicuri mezzi di procedere nelle civili virtù: questo essendo il solo e vero oggetto di tale sorta di componimenti. Nel che dichiarare, come dai primi tentativi apparisce, viensi proponendo di presentare in uno specchio fedele e lucentissimo gli errori, i vizii, le virtù, sia di que' tempi ne' quali, prima di ogni altra tra le contrade d'Europa, mille volte distrutta e mille volte ricreatasi, la nostra bella Italia potè darsi costumi, leggi, Stato, e scienze ed arti d'ogni maniera; sia de' tempi susseguenti, ne' quali ha saputo contra ogn'infortunio salvare la propria dignità.
L'A. della Sibilla Odaleta ha per sua parte afferrato uno de' più notabili punti della storia d'Italia, fissando l'epoca de' fatti presi ad esporre alla famosa passata di Carlo VIII. Lodovico il Moro in Lombardia, Pietro Medici, e il frate Savonarola in Firenze, in Roma Alessandro VI, gli Aragonesi ultimi in Napoli; ed ivi superbi e spensierati i Francesi, e ingrati alla fortuna, che sì capricciosamente li avea favoriti, sono i personaggi che illustrano il gran teatro, sul quale egli pone in minor grado, ma in più vivo movimento i suoi attori. [...]
In mezzo a tanti variati fatti, che questa accurata composizione contiene, niun carattere si presenta, che non sia vero in natura, e proprio delle circostanze; niun tratto che a proporzione non interessi, niuno che non esponga l'opportuna relazione delle cose. E la narrazione poi cammina senza minutezze che incaglino la curiosità del lettore, senza ricercatezze di stile e senza pedantesca elocuzione. Nobili, mezzani, infimi che sieno i personaggi, che in questo quadro figurano, tutti hanno il loro natural colorito, tutti il loro conveniente linguaggio.
N.