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Ermengarda veramente potrebbe in parte compensarci, se la presenza di lei fosse necessaria all'azione. E in ogni modo noi amiamo vedere la donna come l'ha descritta il Manzoni; buona, pudica, debole, affettuosa: l'amore è il suo dovere, l'amore è la sua ricompensa: qualche scrittore l'ha mostrata ritrosa, ardita, superba, ma il nostro cuore acconsente più volentieri a quell'ingegno immortale che disse creata debole la donna, perchè Dio si fidò della generosità degli uomini. Ermengarda ama Carlo, e dolce le sarebbe morire tra le spade del marito e del padre, se gettandosi in mezzo potesse separarle per sempre. Non si versi sangue per lei: ella prega per quei che soffrono, per quei che san soffrire, per tutti; ma l'infelice non può scordarsi che visse gran tempo regina. Quando nel monastero di San Salvadore fa le ultime preghiere alla sorella, desidera che modesta sia la sua tomba, ma vorrebbe che portasse le insegne reali; e questo tratto ne commuove sino in fondo dell'anima, perchè vediamo come vicina al termine d'ogni umana grandezza sente ancora vivamente la perdita della corona. Oh, dic'ella,
Se per ammenda
Tarda, ma dolce ancor, la fredda spoglia
Ei richiedesse come sua, dovuta
Alla tomba real!
Vano desiderio! Ansberga le rivela che Carlo è di un'altra, e qui noi troviamo due sovrane bellezze che mostrano come il Manzoni sappia penetrare nel cuore dell' uomo. Chiunque fuori d'Ansberga avesse rivelato ad Ermengarda, che Carlo era passato a nuove nozze, sarebbe stato abborrito da noi; perchè troppa è la crudeltà di chi raddoppia afflizione all'afflitto: ma l'abadessa Ansberga ricoverata sin da fanciulla nella pace del monte di Dio ha vicine le armonie del cielo, ma il tumulto delle passioni non arriva a lei che come il muggito indistinto d'un mare lontano: ella tocca crudamente quelle ferite che non conosce, e conoscendo vorrebbe sanare; ella crede di consolar la sorella e l'uccide; e tragicissimo è il contrasto fra la pietosa intenzione e il terribile effetto. Ermengarda avea perduto ogni cosa, ma almeno vedeva al di là della morte una speranza che Carlo le concedesse una lagrima, e forse un sepolcro: il suo luogo nel cuore delle sposo non era ancora occupato, e forse avea lì dentro chi teneva per lei: ora queste imagini si dileguano tutte, e una verità spaventosa fa svanire ogni speranza. Ermengarda vorrebbe resistere, ma quando quel raggio tramonta più non ne resta che coprirci il capo e morire. In qualunque altro modo ci fosse dipinto questo carattere, noi non ne avremmo a un terzo una sì profonda impressione: la figlia di Desiderio ne vince colla forza irresistibile della sua debolezza. Noi torniamo a ripeterlo: questa è la donna: una sì nobile creatura destinata dalla Provvidenza ad essere continuamente sacrificata, perchè vita nasca da vita, non debb'essere disegnata con tratti diversi: per lei è il fiore della virtù, dell'ingegno, della bellezza, la forza di queste doti è per l'uomo: noi ammiriamo Clorinda, ma il nostro voto è per la timida Erminia, e s'è lecito paragonare le cose divine alle umane, le Vergini di Michelangelo ci fanno abbassare riverenti lo sguardo, alle Vergini di Raffaello ne inginocchiamo volentieri pregando (I).
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(I) Noi piangiamo alla morte di Clorinda, ma allora essa non è più la forte guerriera, non è più la compagna d'Argante: in quella vece vediamo una debole donna già vicina al suo fine: flebile e soave n'è la voce: il volto è d'un colore di gigli e viole, e la mano nuda e fredda alzandosi a chi la uccise gli dà invece di parole un pegno di pace. La sua morte non è come quella d'Argante uguale alla vita, ma somiglia ad un sonno, e la religione e l'amore assistendo a quel santo passaggio accrescono l'immensa pietà de' lettori.