Folchetto Malaspina. Romanzo storico del sec. XII. Dell'Autore di Sibilla Odaleta. Volumi III. Milano Stella 1830. Prezzo it. L. 6.
Meglio che Autore di Sibilla Odaleta il fecondissimo romanzier piemontese potrà d'ora innanzi intitolarsi autore del Folchetto Malaspina. Non bene s'apporrebbe forse chi giudicasse che a questo romanzo il signor Varese consacrò più di cure e di tempo: ma certo non s'ingannerebbe chi dicesse che questo gli è riuscito più conforme e alla storia e alla ragione poetica. Il fatto era per sè bello e grande: ma non tutti forse avrebbero saputo circondarlo d'invenzioni secondarie nella loro varietà sì piacevoli. Non è già una palinodia questa che noi vogliamo cantare; nè per ciò che spetta al Proscritto, la nostra opinione s'è punto cangiata: ma la sincerità delle lodi potrà forse negli occhi dell'Autore aggiungere alle critiche nostre quel peso che di per sè non avrebbero; mostrandole almeno dettate da libera stima, non da superbo rancore.
Siamo alla metà del secolo duodecimo, all'assedio di Tortona; e abbiamo dinnanzi la detestabile figura di quel Barbarossa Di cui dolente ancor Milan ragiona; di quel Barbarossa che, collocato nella storia, quasi ideale della stolta e crudele tirannide straniera, parve nato a dimostrare quanto potesse sulla miseria italiana l'arroganza barbarica. La catastrofe dunque del romanzo è la rovina della tradita Tortona: ma l'intreccio consiste nelle gare civili tra nobili e plebe, tra popolo e clero, esasperate da' domestici insulti, i quali riempiono la tela, e costituiscono la parte drammatica di questa familiare epopea. Ma per tessere siffatta tela l'Autore non s'è creduto, come altra volta, in necessità di violare tanto gravemente la storia: e il profitto che dalla storica verità seppe egli trarre negli ultimi capitoli, fecondandola con la fantasia e comentandola, ben dimostra tutto ciò ch'egli in questo genere nuovo potrebbe, se pur volesse.
Le principali bellezze che a noi par di vedere nel Folchetto Malaspina, quelle che ci paiono lodevoli saggi della poesia del romanzo, sono = l'incontro dei due avversarii Folchetto, e Guglielmo degli Uberti sulle terre di Montebore = le ricerche che move Folchetto della tradita e fuggiasca sorella = la pittura della valle di Campidano = la visita e la sfida di Folchetto all'odiato Guglielmo = l'abbattimento di costui all'appressarsi del cimento = i preparativi del duello = lo spediente che il satellite Calpucio pone in opera por salvarlo = la scena del tempio, quando Folchetto provoca di nuovo Guglielmo, nipote del Vescovo = e l'altra quando il Vescovo, magnate della città, viene a dolersi innanzi al popolo dell'affronto = alcune pitture di frati = la generosità con cui Folchetto si vendica de' nemici venuti per ucciderlo, e colti al laccio, e rinchiusi, e già basiti di fame = la descrizione dei preparativi degli assediati = della contrommina = delle suppliche mosse dal clero al nemico superbo = dell'uscita dalla resa città = dell'assalto dato da' barbari al monastero. In queste scene si conosce il poeta: e se l'A. avesse voluto con più di pazienza raccogliere dalla sua fantasia e da' materiali che la storia gli porge quel fiore di poesia, ch'è (mi si perdoni l'espressione) quasi la verità condensata, e raccolta in sì poco spazio da dimostrar più attiva e sensibile la sua virtù; se egli lo volesse, io diceva, noi siamo certi che i suoi romanzi riuscirebbero più che una narrazione faceta, più che una serie piacevole di curiose avventure. Non ci fermeremo sui difetti che a noi parve di vedere in questo pregevole lavoro, come alcune inverisimiglianze non necessarie all'orditura dell'azione nè al solletico della curiosità; alcuni caratteri al solito un po' caricati, quali li sogliono presentar sul teatro gli autori di mediocri commedie. Il nostro romanziere, sì fecondo nell'invenzione d'incidenti attissimi a tener desta l'attenzion del lettore, non vorrà, speriamo, ricorrere a simili spedienti non degni di lui. Quella Pattumeja che casca giù dalle rupi senza farsi una graffiatura, quello Stull, quel Titinnio, non valgono certo quanto i caratteri di Folchetto, di Guglielmo, del Magnate, dell'Abbate, di Calpucio, di Gaddo.
Anche nell'intreccio della parte drammatica pare a noi che l'A. si sia scostato un po' più dalla maniera scozzese: meno digressioni d'ignuda storia, meno lunghe descrizioni di luoghi, di persone, d'oggetti minuti; più rapidità insomma, e nel tutto un carattere più italiano. Questa lode però non è senza eccezioni: tra le quali noi non riporremo la solita divisione del romanzo in capitoli con un titolo a ciascheduno, titolo che o dice troppo o nulla (giacchè in tali piccolezze non è riposta l'originalità, sebbene servano anch'esse talvolta ad indicare lo studio d'imitazione soverchio); ma parleremo di cosa molto più grave perchè riguarda la parte morale e civile della letteratura, e si leva un poco al di sopra delle ordinarie considerazioni de' critici e de' romanzieri.
In tutte le opere del nostro Autore noi vediamo con amore rappresentati caratteri e fatti che non mostrano, a dir vero, l'umana natura dal suo lato più nobile e più consolante. Dalla Sibilla Odaleta al Folchetto s'osserva in questa parte non solo una certa costanza, ma oserei quasi dire una progressione sensibile. Sebbene per natural tempra e per letterarii principii il nostr'animo abborra da simili pitture troppo fedelmente e troppo costantemente ripetute, noi non oseremmo però imporre altrui quasi una legge le nostre simpatie o ripugnanze. Anche la vista del male può essere una scuola potente di bene; scuola non senza pericolo, ma certo non senza efficacia. Quello però che crediamo poter richiedere con franchezza, si è che l'errore, la sventura, ed il male, ci sien presentati coi colori della verità, vale a dire in quell'aspetto che valga ad ispirarne o compassione o spavento (giacchè noi non crediamo desiderabile quella specie di moralità che susciti l'odio o il disprezzo). Ora lo studio che l'A. n. pone ne' suoi personaggi è d'ordinario quello di condire il lor dialogo di facezie e di sarcasmi, che non sempre, a dir vero, giungono aspettati e opportuni. Nelle disgrazie più difficili, ne' delitti più atroci, in quelle circostanze solenni in cui l'umana natura par che faccia pompa della propria miseria, della propria debolezza, il nostro Autore ha sempre qualcosa di gaio da dire, di bernesco da far osservare, di comico da dipingere. Walter Scott troppo è vero che osserva assai spesso con certa desolante indifferenza, con certa freddezza che non è nè filosofica nè poetica, quant'ha di più basso la natura morale; ma egli almeno non si piglia sì spesso la libertà di riderci sopra. E si noti che questo del nostro Autore non è poi il sorriso o cruccioso o disperato o velenoso d'un Rabelais, d'un Voltaire, d'un Byron: è un non so che d'innocente, di leggiero, di più che giovanile, e fa sospettare che il valent'uomo non consideri nel suo tema se non se un'occasione d'intertener le brigate, non mai di commovere e d'istruire. L'assedio di Tortona, la bestial tirannide d'un Barbarossa, le discordie civili a cui la religione troppo sconciamente s'immischia, non ispirano a lui che ben poche sentenze di morale seria e malinconica: tutto il resto è uno spasso, una festa continua. Quest'è come danzare sopra terre rigurgitanti di semisepolti cadaveri, e deliziarsi tranquillamente co' fiori che spuntano dalla putredine umana e dal sangue. L'autore del Folchetto Malaspina è destinato ad una missione più nobile: e i diritti che il suo ingegno possiede alla nostra stima, sono per l'animo suo gravi e augusti doveri.
K. X. Y.