Gli Ospiti di Resia, Romanzetto. — Udine, 1827, pei fratelli Mattiuzzi, in 16.°, di pag. 87.
Claudio è partito da Genova con tutte le sue sostanze per trasportarsi nella Grecia. Navigando egli dà ne' pirati greci, i quali per avere trovate sul legno alcune armi destinate ai Turchi uccidono quante persone vi sono, eccetto sol Claudio ed una giovane per nome Cecilia, che Claudio nel trambusto avea tirata a sè, credendola la propria moglie Clarina. I pirati poi sentendo che Claudio volea recare il proprio avere nel lor paese divengono amici a lei ed alla giovine ch'essi reputano sua sposa, e li mettono a terra sulla spiaggia d'Albania, dove sono raccolti da un Veneziano trasportatosi colà dopo la caduta della repubblica. Costui da loro una guida che li conduca presso un suo amico nella Valle di Resia, donde sarà loro agevole il restituirsi alla patria; e di qui ha occasione l'autore di descrivere il sito di quel paese e le costumanze degli abitanti, singolarissime per essersi conservate in gran parte quali vi furon recate molti secoli addietro dai primi occupatori stranieri. Claudio ha un amico che nel tempo della sua sventura trovasi a Londra: gli scrive, gli dipinge il suo stato e n'ha per risposta le più sincere promesse, accompagnate da due cambiali. Con questi soccorsi abbandona la valle Resia in compagnia di Cecilia della quale si è fortemente innamorato, e recatosi alla villa di Federico, la sposa. Ma nel bel mezzo del banchetto soprarriva Clarina sana e salva. Cecilia muore in un subito. — Così procede e finisce questo Romanzetto che si compone di ventidue lettere e si stende per poco più di ottanta facciate. L'invenzione ci pare assai debole, e l'esito o lo sviluppo ancor più. Quell'errore di Claudio (di abbracciare un'estrania in vece della propria moglie), il quale suppone che Cecilia in quel grande trambusto non mettesse neppure una voce, è un debole fondamento all'edificio dell'Autore. La facilità con cui questo sposo al persuade che sua moglie sia morta, e si abbandona in brevissimo tempo (tutto il Romanzo comprende lo spazio di cento giorni circa) all'amor di Cecilia per modo che la fa sua sposa, toglie gran parte d'interesse a questo personaggio ch'è pure il principale dell'opera. Cecilia poi è, per così dire, un personaggio passivo; e come ha pochissimo calore in sè, così pochissimo ne diffonde sopra i lettori. Essa non entra mai direttamente nell'azione: solo di tempo in tempo ascoltiamo da Claudio alcune congetture ch'ei sa sulla situazione dell'animo di lei; ma sono congetture e null'altro, e quasi ci riesce improvviso, quando sentiamo ch'essa è divenuta la sposa di Claudio. L'ultimo scioglimento poi del romanzo oltre all'esser comune e accattato, è anche precipitoso per modo che sopraggiunge quand'altri meno l'aspetta e per essere fuori d'ogni opinione lascia freddissimo il cuore. Noi forse c'inganniamo, ma pur ci sembra che l'Autore poteva finire assai meglio il suo libro. Claudio s'era portato a Trieste per esigere le cambiali speditegli da Federico: una pericolosa malattia lo aveva trattenuto in Udine parecchi giorni: al suo ritorno egli trova il figlio del proprio ospite in compagnia di una sua sorella e di Cecilia, la quale come affratellata con loro avea deposti i propri abiti e indossati quei del paese. Tutto questo è nel Romanzo; perchè non poteva nascere di qui l'esito della favola? Questa fanciulla avea verso Claudio il debito della gratitudine, e non quello dell'amore: essa lo avea veduto felice al fianco della propria moglie, nè poteva credere che già se ne fosse dimenticato, meno poi che pensasse ad altri sponsali, quando non era ancora ben certo di esser vedovo. Qual meraviglia dunque, se Cecilia si fosse inclinata all'amore del suo giovine ospite, a cui la somiglianza dell'età doveva naturalmente affezionarla? Aggiungasi che questa fanciulla, rimasta come solitaria nel mondo, in mano ad uno sconosciuto, doveva provare un grande conforto dal trovarsi nel seno di una famiglia ospitale e benefica, e doveva essere in vece dubbiosa del proprio stato, finchè trovavasi con un uomo la cui moglie poteva, com'era infatti, non esser morta. Oltrechè Claudio non le avea mai parlato nè d'innamoramento, nè di nozze. Con questo amore per l'ospite adunque, Cecilia non perdeva ponto della sua dignità; e Claudio avrebbe potuto acquistarne non poca, esercitando la propria virtù nel sottomettersi anche a questa sventura. Allora veniva poi opportuna quella quasi miracolosa apparizione della perduta consorte, siccome premio di quella virtù con cui egli avrebbe vinto sè stesso. Di questa maniera il romanzo finiva tutto pacificamente, come ci pare richiesto al suo genere, e la salvezza di Clarina non era cagione della morte di una innocente, nè la sua gioja nel ritrovare lo sposo era guasta dal vederlo già in braccio di un'altra, nè a Claudio restava il rimorso di avere sagrificata una giovine virtuosa alla precipitanza della sua passione. Chi mai in questo scioglimento piaciuto all'Autore, chi è o premiato o contento? La sventurata Cecilia è morta innocente. Clarina non può abbracciare con intiera contentezza uno sposo già non più suo, ed a cui sa di giungere intempestiva. Claudio è tormentato dal dolore di avere veduta Cecilia morire, e dalla vergogna di esser trovato sì mal ricordevole da una moglie affettuosa: e così il Romanzo lascia il lettore in una specie di abisso che non ha fine, e si perde nella disperazione. Posto poi che l'Autore avesse voluto condurre la sua favola a questo esito, dovea questo essere almeno preparato con qualche maggiore artificio. Ma quando è finita la descrizione della Valle di Resia, pare in vece che l'Autore non abbia più altro pensiero se non quello di trarre al più presto la sua tela al vivagno. Le lettere sono brevissime: i fatti si affollano, e quanto più sono importanti e difficili a credersi, tanto meno l'Autore c'informa del come sono avvenuti. Però noi crediamo che questo libretto in quella parte che è descrittiva sia degno di qualche lode, ma nella parte veramente romanzesca sia mancante di novità, d'interesse di scopo ed anche di ragionevol condotta. — Noi ignoriamo veramente chi ne sia l'autore, solo sappiamo che fu stampato per la prima volta dal chiarissimo sig. Quirico Viviani in occasione di nozze.