[...] Noi ammiriamo troppo il Manzoni per credere, che se altro fosse stato il suo intendimento, egli avesse potuto scegliere a protagonisti quei due villani. Ogni sforzo per nobilitarli ci torna senza alcun frutto: invano l'intelletto ci avverte che molti plebei sono nobilissimi, molti nobili sono plebei; invano il discorso della ragione ci mostra che in ogni stato la virtù è bellissima, e forse ancora più bella, dove le manca l'incitamento della lode, e in picciolo teatro ella deve bastare a sè stessa. I Renzi e le Lucie non leggono, ed a noi che leggiamo quelle sciagure sono troppo lontane e quasi straniere: senza che se la differenza delle condizioni agli occhi del saggio non esiste nei rapporti morali, evvi un'altra diversità ch'è tutta reale e assai più importante: quella dell'educazione. Noi non vogliamo calunniare chi fu condannato dalla fortuna ad un rozzo tenore di vita, ma è pur certo che il dolore penetra meno profondamente quando il cuore è ancora ruvido, e l'ingegno dalle buone discipline non fu addottrinato. Ad essere pienamente infelice bisogna che l'uomo abbia l'anima gentile ed alto l'ingegno: allora soltanto egli può assaporare tutta la sua miseria, e distinguere a quella luce l'abisso in cui è rovinato. Di Renzo e di Lucia ne duole che siano oppressi da quella ingiusta persecuzione, ma tranne il momento in cui la tradita fanciulla è strascinata dagli sgherri al castello dell'Innominato, chi può veramente appassionarsi pei due giovani sposi? Eglino sono così freddi nelle proprie disgrazie, che malamente potrebbero volere che altri s'affannasse per loro. La bontà, la giovinezza, le sventure non meritate conciliano ad essi la nostra benevolenza, ma l'affezione che ne ispirano, ci lascia sempre tranquilli, nè mai una forte ansietà ne tiene sospesi sul loro dubbioso avvenire. Noi abbiamo sentite molte voci anche benevole al Manzoni sollevarsi contro questo difetto, e dimandare, perchè egli abbia voluto scegliere i suoi principali attori in tanta bassezza, nè almeno, come pur poteva, gli abbia renduti capaci di vivamente commuovere. Il lamento è giusto, ma per un rispetto assai diverso da quello onde ordinariamente procede, perchè in sostanza si viene con esso a dimandar all'autore, per qual motivo non abbia egli in altro modo concepito e imaginato il romanzo. Se i due sposi promessi fossero veramente tali, che l'anima nostra tremasse per loro, e una gagliarda e impaziente agitazione ne prendesse per quei miseri casi tutta l'orditura degli avvenimenti, tutta l'intenzione del romanzo dovrebbe cambiarsi. [...]
A fare però che questa catastrofe troppo non si allontanasse dall'ordinario andamento della narrazione, bisognava creare alquanto diversi e certo più appassionati i due sposi. Bastante affetto sarebbe in Renzo, s'egli fosse descritto sempre, come quando entra l'ultima volta in Milano a cercare l'amica sua, che teme morta di peste: la sua agitazione, l'inquieto e vago terrore di chi vive d'una sola speranza e s'appressa a conoscere se per lui c'è ancora quaggiù un avvenire, sono espressi così vivamente che ogni cuore segue tremando i suoi passi, ma questo è l'unico momento in cui lo stato di Renzo commuova, e forse contribuisce alla profonda impressione lo spettacolo della desolata città che ne viene rappresentato con tanta evidenza. Invece quanto è fiacco il suo amore in tutto il resto dell'opera! Si dissimuli pure il suo contegno nella trista giornata della sommossa, ma anche quando egli è riuscito a fuggir di Milano, chi direbbe che nel suo petto sia pur una scintilla di quella gagliarda passione? Lucia non ottiene da lui in tutta la fuga un solo pensiero, e sì almeno nel viaggio notturno così mirabilmente descritto quel caro nome se gli dovea presentare come un raggio di luce. E necessario ch'egli sia riparato dalle intemperie in una capannetta e che abbia sentito dal rumore dell'Adda che ogni suo pericolo può dirsi cessato: allora soltanto l'imagine della sua donna gli viene dinanzi, e pur troppo non è peranco signora della sua mente, ma in mezzo ad altri pensieri va quasi confusa. Persino nella seguente mattina quando l'Adda è già valicata, ed ei si volge a contemplare la pericolosa terra che aveva lasciato, l'idea della sposa non gli viene che tardi "Ah! ne son proprio fuori! - fu il suo primo pensiero. - Sta lì maledetto paese, - fu il secondo, l'addio alla patria. Ma il terzo corse a chi egli lasciava in quel paese." Sono queste le parole proprie del romanzo, ma dopo averle lette che cosa può importarne d'un siffatto volgarissimo amante, che perdendo l'amica e la patria dona la prima cura, il primo compiacimento alla salvezza della vile sua vita? Pur troppo una plebe d'uomini non numerabile mettono sè stessi innanzi ogni cosa, ma l'amore comanda i sacrifizj anche alla moltitudine, e in ogni modo il protagonista d'una novella, il personaggio a cui vuole affezionarci l'autore, non debbe co' suoi sentimenti discender sì basso. Il desiderio della propria conservazione è quasi un istinto, ma non si poteva egli esprimere questo senso naturale, e mostrare ad un tempo il predominio dell'intimo affetto? Non poteva Renzo stendere le braccia alla terra della sua sposa e gridare a Lucia: io vivo ancora, e vivo per te? E quando, come avvien nel romanzo, il giovine oramai salvo, dopo aver passato il fiume, si getta sulla riva e ringrazia il Signore, perchè quella preghiera non incomincia dall'implorare sulla perseguitata fanciulla quella celeste protezione che l'avea scampato da tanti disastri? Se non che un Renzo, il quale fosse veramente tocco da forte passione, avrebbe un troppo debole riscontro in Lucia che non dà mai un vivo segno d'amore. Fino quel voto solenne e terribile, ch'esser doveva il più gran pensiero della sua vita, al cessare del rischio le fugge tosto di mente, ed ella ha bisogno per ricordarlo che nel rassettarsi le vesti le si intralcino le dita nella corona pendente dal collo.
Due ragioni abbiamo sentito allegare a difesa, e quasi in lode d'una tanta freddezza: dicono alcuni che fra gente della condizione in cui furono posti Renzo e Lucia, non è da cercarsi finezza d'affetti; sostengono altri che l'autore avvertitamente e con savio proposito smorzò la fiamma per non accendere di soverchio la mente ai lettori già troppo da natura disposti a ricevere quel torrente di fuoco, che versò il Ginevrino nella sua pericolosa e seducente Eloisa. Noi non crediamo che alcuno di tali motivi entrasse a determinare il Manzoni, perchè tosto egli avrebbe veduto che alla prova non potevano reggere: non si tratta già dei raffinamenti della passione, che questi anzi d'ordinario la snervano, ma sì della sua forza, che punto non dipende dallo stato in cui siamo nati. L'amore è un assetto che abbraccia tutto il genere umano, e forse lo sente con più vigore chi non lasciò addormentare nella mollezza le potenze dell'anima. Nè dall'esempio di Renzo e di Lucia potea venire alcun danno, anche se si avesse in loro mostrato a che alto grado si sollevi l'amor, virtuoso. Essi erano innocenti e religiosi, essi erano di già promessi in matrimonio, e la benedizione materna ed il Cielo approvavano la loro santa benevolenza. Qual cosa adunque più naturale in tanti guai che un infinito accrescimento d'amore? E chi avrebbe potuto dolersi che se gli offerisse il degno spettacolo di due infelici che traggono dalle stesse non meritate disgrazie un argomento di rinforzare lo scambievole affetto; quasi che l'uno dovesse compensar l'altro dell'estrema miseria, cui per colpa degli uomini erano entrambi soggetti? Oltre di che, chi vorrà credere che il Manzoni dopo averne presentate nella monaca le orribili conseguenze d'una iniqua e sfrenata passione, temesse di metterne sott occhio i nobili effetti d'un amore onesto e gentile? Tutt'altra fu la cagione del suo adoperare, e noi crediamo d'averla già espressa. L'idea colla quale avea concepito il romanzo, il modo con cui voleva allargarsi nelle descrizioni di oggetti stranieri ai protagonisti, lo sforzarono a tenersi lontano dall'affezionarci vivamente per loro. Vedranno i lettori se invece avrebbe meglio giovato sacrificare qualche cosa da una parte per fare dall'altra tanto guadagno di movimento e di vita. [...]