La pittrice e il forestiere; racconto tratto dalle Memorie inedite d'un viaggiatore in Italia. — Milano, 1824, presso Giuseppe Bocca librajo. In 12.° di pag. 268, col motto:
Amor ch'al cor gentil ratto s'apprende,
Prese costui della bella persona
Che mi fu tolta, e 'l modo ancor m'offende.
DANTE.
Un corto proemio avvisa essere questa una produzione di penna oltremontana; dunque una traduzione, ed anche fedelissima, perchè vi è soggiunto che'l'allontanarsi dalla pur stretta imitazione sarebbe stato un volerne infievolire i concetti; e un voler del tutto scolorare quello stile ardimentoso e figurato, di cui capo-scuola e modello apparisce ai tempi nostri l'esimio scrittor francese che primeggia nelle scienze politiche, siccome nelle letterarie discipline. Dalle quali parole deducesi, che l'originale inedito (come è detto nel titolo) è francese, che autore può credersene l'insigne scrittore del Genio del Cristianesimo, de' Martiri ecc., che ardimentoso e figurato ne è lo stile, singolari i concetti, esattissima la versione. E noi di queste particolarità, se non in tutto, certamente in gran parte conveniamo. Al primo veder questo libro, ed all'esaminarne l'esteriore coperta, sulla quale si annunciano sette diverse opere, originali o tradotte, di Davide Bertolotti, vendibili presso il librajo Bocca; ci venne tosto il pensiero che ciò pure fosse un suo lavoro; ma la lettura che facemmo di tutto questo romanzo ci ha lasciati assai dubbiosi, o almeno ci ha fatti preponderare per l'opinione che non sia di lui.
Un principe, vittima dello rivoluzioni della sua nazione, abbattuto dalla malinconia e dalla disgrazia, sotto nome di Ludomiro fa il viaggio d'Italia, arriva a Mola di Gaeta, ov'è costretto a trattenersi mentre si fa rassettar la carrozza, ovi benefica una sconosciuta fanciulla, la libera da un prepotente, e parte per Napoli, ove una principessa polacca ed una nipote di lei lo accolgono come antico amico, e forse prossimo congiunto. La principessa protegge una savia giovine, chiamata Giannina, egregia pittrice, al cui pennello affida molte opere, e segnatamente lo caricature de' suoi conoscenti. Nell'eseguire il ritratto di Ludomiro (non osando ella di farne una caricatura) amor li colpisce. Giannina era zia della fanciulla liberata a Mola, e sorella di quel prepotente. Il forestiero frequenta lo studio della bella sotto pretesto di prender lezioni di pittura, sparge sue beneficenze sul vecchio e cieco padre di lei, rimette in casa la sviata nipote, e nutre per Giannina un amor virtuoso, corrisposto, e divenuto necessario a entrambi i cuori. Tutte le arti delle dame polacche non bastano a spegnere quella fiamma. Ma Giannina sa dalla viziata nipote che la vita di Ludomiro è in pericolo, e che lo stesso fratello di lei vuole assassinarlo. Riesce ad avvertirnelo; ma in un viaggio a Pesto quell'iniquo li sorprende la sera nel tempio di Nettuno, e pensando di immergere il pugnale nel di lui seno uccide l'infelice sorella. Questa in compendio è l'orditura del romanzo, cui non mancano nè procelle, ne imprigionamenti, nè caverne e sepolcri, nè tutte quelle fantasticherie, che alcuni attribuiscono ai romantici. Di tratto in tratto vi ha qualche descrizione pittoresca e felice, spesso molta stiracchiatura ed affettazione. Il tristo carattere che nel primo capitolo, anzi per tutto il libro, si attribuisce alla plebe del regno di Napoli, la cui avarizia, indolenza, ipocrisia e libertinaggio, che pur troppo sono i vizj ivi predominanti, sono con caricati colori iteratamente espressi, non suona per vero dire ben accetto ad animo italiano cui non è ignoto come nelle classi più elevate o meglio educate di quel regno avvi dottrina, decenza, brio e virtù, e che non è sempre vero che l'obbliare e godere si è tuttora (ed esser pur dee) la massima dell'indolente napolitano (pag. 93). Ciò solo basterebbe a farci intendere che una penna straniere ha questa leggenda vergato, ove già nel proemio non se ne avesse la sicurezza. Ma che poi questa penna esser debba quella dello splendido scrittore del Genio del cristianesimo, come avrebbesi a credere giusta le su riferite parole, non vogliano facilmente persuadercene, quando, oltre all'accennato bizzarro ammasso di romanticherie, riflettasi a diverse mende, anzi pur macchie, che a nostro giudizio in questo libro si trovano, comunque per avventura fossero tolte, come pare, da qualche poesia orientale. Empia, per esempio, è l'espressione di Ludomiro, che leggesi a pag. 110, quando dice che sì breve corso dà alle nostre vite colui che di esse ludibrio si piglia, ed empio e tutto spirante incredulita è il discorso che le stesso incognito principe fa poco più innanzi a pag. 120. Nè meno falsa e disperata è l'altra proposizione a pag. 135, ove è detto: sogno di felicità non è egli pur troppo tutto quanto di reale nella felicità stessa si acchiude? Che direm noi di que' tratti, che sì frequenti si incontrapo, ne' quali è dato animo e senso alla materia? Tra cui questi tre notammo, cho ci parvero veramente ardimentosi. Il primo è a pag. 133; i flutti del mare (dice) "ammolliti dal venticello della sera volgere pareano l'un dietro all'altro sol per mescersi insieme, non altrimenti che se reciproca simpatia rendesse loro increscevole ogni anche breve separazione." E poco dopo è il secondo: "vette e falde e spiagge e la costiera tutta pingeansi di certa tinta cremesina, simile al verginal rossore nato da teneri commovimenti". Il terzo, e più degli altri disapprovevole, trovasi a pag. 250: "sorgeva il mare, quasi volesse offendere il cielo, e ratto colpivalo il fulmine a far pronta vendetta di tracotanza sì audace. Non sappiamo se più ardimentoso e più figurato stile potesse un secentista adoperare. Eppure si danno di cotesti modelli di bello scrivere alla volonterosa gioventù. Deh apritevi, o volte di questo tumulo, leggesi altrove (a pag. 122). Diradatevi, tenebrie della tomba! Ella mi ama! Vedi sceltezza di espressione per manifestare il contento di essere amato! Lasciamo poi le maniere tutte proprie del traduttore o editore italiano, come sono le poc'anzi citate tenebrie della tomba, il respiro oppressato (pag. 125), il sonar lieti in sì cara fiducia tutti i giorni (145), e il ripetuto addentrarsi in ogni senso e pensiero e mistero, e che so io di consimile.
Per le quali tutte osservazioni noi siamo d'avviso che se la pittrice e il forestiero fossero rimasti incogniti alla italiana letteratura, non solo essa non avrebbe nulla perduto, ma avrebbe eziandio risparmiata una nuova macchia.